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Perché in Algeria ci sono subbugli anti Bouteflika. Report Cesi

Le manifestazioni contro la prospettiva di un quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika costituiscono un segnale che l’establishment algerino, tradizionalmente ingessato e incline all’immobilismo, non può permettersi di ignorare. L'analisi del Cesi

 

Decine di migliaia di algerini hanno protestato pacificamente venerdì in tutto il Paese contro la prospettiva di un quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, scandendo slogan contro il governo di fronte alla polizia che sembrava sopraffatta. Secondo quanto riferito dagli agenti, 56 poliziotti e 7 manifestanti sono rimasti feriti e 45 persone sono state arrestate nella capitale Algeri. Nella capitale, gli scontri, non lontano dalla presidenza, hanno visto la polizia fronteggiare gruppi di giovani che lanciavano pietre, mentre la maggior parte dei manifestanti si sono dileguati. Le vetrine di alcuni negozi sono andate in frantumi, un’agenzia bancaria e un’automobile sono state bruciate, secondo un giornalista dell’AFP. (Redazione)

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Lo scorso 25 febbraio, durante un discorso trasmesso dalla tv nazionale, il Primo Ministro algerino Ahmed Ouyahia ha rimarcato che il futuro politico del Presidente Abdelaziz Bouteflika può essere deciso soltanto dal libero voto degli elettori. Di fatto, tale commento è stata la prima reazione ufficiale del governo alle proteste popolari che da circa 10 giorni scuotono il Paese, e allo stesso tempo rappresenta un indicatore di quanto esse stiano procurando più di una preoccupazione all’esecutivo.

Le proteste in questione si sono sviluppate contro la prospettiva di un quinto mandato dall’attuale ottuagenario Presidente Bouteflika, al potere dal 1999. Infatti, l’11 febbraio l’attuale Capo dello Stato aveva annunciato la sua intenzione di candidarsi alle elezioni presidenziali previste per il prossimo 18 aprile. Di fatto, la sua ricandidatura è il frutto di uno stallo nelle consultazioni tra le diverse componenti del sistema di potere algerino, che tradizionalmente esprime per consenso il candidato Presidente. Dunque, a ben vedere, le attuali proteste popolari rappresentano una messa sotto accusa di tutta l’attuale classe dirigente, che vede accumunati nella gestione del potere sia le Forze Armate sia i partiti di governo Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e Raggruppamento Nazionale Democratico (RND).

In più, va notato che questa recente ondata di proteste ha connotati squisitamente politici che le precedenti manifestazioni di dissenso, centrate più su temi economici e sociali, non possedevano. Infatti, negli ultimi anni tali proteste erano state rivolte essenzialmente contro le politiche di austerità e l’aumento dell’IVA, come quelle avvenute tra 2017 e 2018 soprattutto nella regione della Cabilia. Nell’ottobre del 2014, invece, furono diversi reparti delle polizia a scioperare, manifestando per alcuni giorni nei pressi del palazzo presidenziale ad Algeri per ottenere aumenti salariali e una serie di altri benefici. Oltre al movente politico, le proteste iniziate la scorsa settimana hanno anche una diffusione geografica vasta, considerando che hanno interessato, oltre ad Algeri, altre città della fascia costiera mediterranea come Orano, Sidi Bel Abbes, Sétif, Tiaret e Bordj Menaiel così come località dell’interno come Touggourt e altri centri minori.

Per questi motivi, le recenti manifestazioni costituiscono un segnale che l’establishment algerino, tradizionalmente ingessato e incline all’immobilismo, non può permettersi di ignorare. Di conseguenza, l’eventuale proseguimento delle proteste, su larga scala e con ampia partecipazione popolare, potrebbe portare il governo ad agire già prima dell’appuntamento elettorale di aprile, nel tentativo di trasmettere all’elettorato un segnale di discontinuità che permetta il normale svolgimento del voto.

L’APPROFONDIMENTO DI FRANCESCO PETROSELLA

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