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Ecco come e perché in Algeria si sbuffa contro Bouteflika

Che cosa sta succedendo davvero in Algeria? L'approfondimento di Francesco Petronella

 

Nella quasi totale indifferenza dei media italiani, in Nord Africa c’è una polveriera che attende solo la miccia decisiva per esplodere: il suo nome è Algeria. Basti pensare che, il ministro italiano della Difesa Elisabetta Trenta è atterrata a sorpresa due giorni ad Algeri per una visita ufficiale.

“Sono appena atterrata ad Algeri – scriveva la Trenta su Facebook – dove visiterò il Monumento ai martiri dell’indipendenza e incontrerò le autorità locali”.

La visita del ministro nel paese nordafricano arriva in un frangente assai delicato. Dal 22 febbraio scorso, infatti, manifestazioni di piazza scuotono tutte le 48 province del Paese, protestando contro la candidatura del Capo dello Stato in carica Abdelaziz Bouteflika per il quinto mandato presidenziale.

LA SALUTE DI BOUTEFLIKA

L’ottantunenne Bouteflika, infatti, è in condizioni di salute precarie a seguito di un ictus. Tanto è vero che, secondo quanto riporta su twitter GVA Dictator Alert, il presidente si trova attualmente a Ginevra per visite mediche di routine.

CHE COSA FA IL PRESIDENTE

Il vetusto leader algerino, inoltre, non compare in pubblico da mesi, e le sue foto esposte in pubblico sono sistematicamente di repertorio. A tirare i fili della sua presidenza – ormai totalmente simbolica – sono i vertici dell’esercito e degli apparati di sicurezza.

LA PROTESTA INSABBIATA

Nonostante le immagini sui social media parlino chiaro, mostrando numeri imponenti e manifestazioni di massa, c’è un grande interesse ad insabbiare tutto. Secondo quanto riporta Agenzia Nova – unico media italiano con un corrispondente sul posto – i giornalisti delle emittenti radiofoniche pubbliche locali hanno inviato una lettera aperta ai propri direttori protestando contro l’inadeguata copertura mediatica delle manifestazioni. “Siamo giornalisti di Stato o di servizio pubblico?”, apre in tono provocatorio la missiva.

IL RUOLO DELLE TV

Scarsissima copertura anche delle emittenti televisive algerine – nonostante i numerosi arresti – e appelli alla moderazione da parte della politica. Con il solito comunicato asettico, senza metterci né faccia né voce, Bouteflika fa appello alla “continuità di governo” e alla moderazione. Il premier Ahmed Ouyahia, dal canto suo, agita lo spettro della violenza pubblica per smorzare gli entusiasmi, parlando di “deriva pericolosa” e di manifestazioni stimolate da “fonti sconosciute”.

LA MINACCIA DELLA PAURA

Il primo ministro sa perfettamente quali corde dell’opinione pubblica sta andando a toccare con queste parole. L’Algeria, infatti, ha vissuto dall’inizio degli anni ’90 una delle più sanguinose guerre civili contemporanee, costata 200.000 morti. Il ricordo di questo trauma è ancora così vivo nella memoria collettiva, che anche nel 2011 – mentre le proteste infiammavano le piazze di Libia, Tunisia, Egitto etc. – il corrotto regime algerino utilizzava lo stesso tipo di minaccia per evitare il contagio.

CORRUZIONE E DISOCCUPAZIONE

Ora però la situazione è cambiata, in parte per la corruzione dilagante e per la disoccupazione diffusa. Secondo l’analisi di Pierre Haski per France Inter, però, ad essere decisivo è il fattore generazionale. “Quasi un algerino su due ha meno di 25 anni – spiega – e dunque ha conosciuto come presidente solo Bouteflika, vivendo in una confusione crescente dovuta al blocco decisionale”.

LA PAURA DELLA GUERRA CIVILE

Insomma, la paura della guerra civile c’è, ma l’immobilismo scambiato per stabilità non convince più di tanto. Alcuni intellettuali algerini hanno anche firmato un appello pubblico in cui si sottolinea “l’opportunità di trasformazione sociale e politica di una società che qui aspira a vivere in dignità, libertà e benessere”.

GLI INTERESSI DELLA FRANCIA

L’ondata di proteste, passata praticamente inosservata dai media italiani, ha avuto tutt’altro impatto in Francia, dove uomini e donne di origine algerina sono scesi in piazza in solidarietà coi compatrioti in Algeria. Basti pensare che il quotidiano parigino Le Monde domenica scorsa dedicava la sua prima pagina alla notizia delle proteste contro il quinto mandato di Bouteflika.

Chiaramente le dinamiche algerine hanno tutto un altro peso per l’opinione pubblica francese, considerato che l’Algeria è stato l’ultimo paese ad affrancarsi dal colonialismo francese nel 1962.

LE ATTENZIONI DELL’ITALIA

Questo, però, non significa che anche l’Italia non abbia motivi per occuparsi (e preoccuparsi) di quello che sta accadendo nel paese nordafricano. Secondo i dati dell’Economic Complexity Index, infatti, l’esportazione di gas algerino vale 15,6 miliardi di dollari all’anno, e quella di greggio 12,8 miliardi.

LE RELAZIONI ECONOMICHE

Tra i paesi che importano risorse energetiche l’Italia è il primo della lista per quanto concerne il gas: 5,36 miliardi di dollari per il Bel Paese, seguito da Spagna (4,72 miliardi), Francia (4,23 miliardi), Stati Uniti (3,7 miliardi) e Turchia (2,27 miliardi). Col gas algerino, l’Eni e tutto il comparto energetico italiano può diversificare le proprie fonti di approvvigionamento, tanto quanto basta per non dipendere interamente dai colossi russi.

IL RUOLO GEOPOLITICO

Algeri, inoltre, è in cima all’agenda geopolitica anche di stati geograficamente lontani. Ad esempio la Cina, da cui Algeri acquista la maggior parte dei prodotti d’importazione (7,78 miliardi di dollari) e persino l’Iran, che corteggia a distanza – e forse allunga qualche partita di armi – al fronte Polisario per l’indipendenza del popolo Sahrawi. Con un’Algeria instabile, infine, pensare ad una soluzione definitiva per la crisi libica diventa davvero molto difficile.

NESSUN SUCCESSORE

Il problema centrale è che Bouteflika, per quanto mal messo, è la chiave di volta su cui si regge l’elefantiaco regime nordafricano. La successione, infatti, non è ancora pronta e gli apparati che reggono davvero le sorti dello Stato non hanno ancora trovato il nome su cui puntare per sostituire l’ottuagenario moloch di Algeri. L’esercito – d’altronde – gode ancora di un’ottima popolarità, dovuta ai fasti dell’indipendenza e alla lotta contro i gruppi qaidisti.

(estratto di un articolo pubblicato sul blog di Michela Mercuri; qui la versione integrale)

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