A parte i rilievi di carattere tecnico-giuridico che in una legge per di più ‘’fondamentale’’, non sono un affare da poco, la riforma attribuita al ministro Casellati peggiora man mano che qualcuno ci mette le mani. Ed è veramente inaccettabile che il governo e la maggioranza vadano avanti su questa strada, mentre le opposizioni stanno sull’Aventino.
Diciamoci la verità: la stabilità del governo non c’entra nulla, anche perché – una volta approvata la norma come risulta dalle ultime intese nella maggioranza – il premier eletto e il suo gabinetto godrebbero di una vitalità molto compromessa, esposta perennemente al rischio di elezioni anticipate. L’accanimento sui meccanismi c.d. antiribaltone potrebbe mettere il paese in condizioni di grandi difficoltà, soprattutto in momenti come l’attuale in cui ci si potrebbe aspettare di tutto. È una dottrina assurda quella che porta ad escludere i c.d. governi tecnici sorretti da una maggioranza di unità nazionale. Esistono forse esperienze negative da non ripetere? Senza andare indietro fino al governo Dini (che peraltro prese il posto di un governo – il Berlusconi 1 – sostanzialmente eletto dal popolo e caduto per mano della sua stessa maggioranza) vi sono critiche da rivolgere ai governi Monti e Draghi? Siamo arrivati al punto di introdurre nelle norme transitorie e finali che è vietata – come era previsto per il disciolto PNF) la ricostruzione di un governo c.d. tecnico?
È proprio la flessibilità che i Padri costituenti hanno voluto affidare all’iniziativa del capo dello Stato che verrebbe a mancare nel nuovo ordinamento, in cui le procedure per la formazione dei governi non hanno margini nel loro svolgimento, ma sono scandite da regole fisse.
Se il governo guidato dal premier consacrato dal voto popolare cade si apre un percorso con norme predefinite nei tempi e nei modi e molto più simile ad una serie di riflessi pavloviani che alla gestione di un delicato processo politico. Ma la questione delle norme antiribaltone è in realtà il punto cruciale di tutta l’operazione. Immagino di non essere stato il solo ad accorgersi che la prima versione del disegno di legge Alberti Casellati conteneva una normativa ad personas. L’uso del plurale è voluto perché non occorreva molta fantasia per inserire dei nomi e dei cognomi a fianco dei profili istituzionale che facevano la loro comparsa nelle norme. Così la figura del premier ‘’unto’’ dal voto del popolo era quella di Giorgia Meloni; mentre il subentrante nei casi previsti, appartenente alla stessa maggioranza, evocava Matteo Salvini. Come se, all’inizio della legislatura in regime di premierato, potesse essere concluso un accordo di staffetta all’interno della maggioranza.
Nella nuova versione questo passaggio di consegne è subordinato all’orientamento del premier eletto e caduto da manifestare entro il termine di 7 giorni. Altrimenti il solo modo che potrebbe consentire ad un altro esponente della maggioranza (nel nostro esempio a Salvini) di varcare da premier la soglia di Palazzo Chigi, sarebbe l’uccisione del predecessore, d’intesa col capo dello Stato che poi gli affiderebbe l’incarico di formare il governo. Si spiega, così, perché si attendono ancora le opinioni della Lega sul nuovo testo.
A questo punto è lecito chiedersi se le opposizioni, in particolare il Pd, intendono stare a vedere ciò che riuscirà a fare la maggioranza, continuando a condurre uno scontro frontale con toni sovreccitati ed argomenti insostenibili.
I dem non sarebbero credibili se facessero propria la linea Benigni della ‘’Costituzione più bella del mondo’’ perché sono stati i primi a metterla in discussione e a giudicare inadeguato ai nuovi tempi l’assetto istituzionale di cui alla Seconda Parte della Carta del 1948. Pensano di poter reggere una battaglia contro un autoritarismo inesistente (no ad un solo uomo/donna al comando grazie al premierato) e contro la spaccatura di un Paese già spaccato (no all’autonomia differenziata)? Il Pd nasconde negli armadi troppi scheletri di riforme costituzionali tentate e proposte; ha troppo trescato con gli stregoni del diritto costituzionale per poter pretendere oggi di risalire alla purezza dei Padri costituenti.
Ecco perché – come ha sottolineato Giuliano Urbani in una intervista sul Corriere della sera – aprire un confronto servirebbe sia alla maggioranza che all’opposizione. Un’eventuale intesa libererebbe Meloni dalla spina nel fianco di Salvini; le opposizioni potrebbero avere la possibilità di contenere i danni. Altrimenti a loro resterebbe soltanto un’ultima trincea: il referendum confermativo. Ma a questo punto tirerebbe un’aria molto brutta.