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Perché il premier Conte non ha futuro politico dopo il governo Lega-M5S

Che cosa farà davvero Giuseppe Conte? I Graffi di Damato

Da quando i giornali, chi più e chi meno, hanno iscritto d’ufficio il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, specie dopo i risultati delle elezioni europee del 26 maggio, e col suo sostanziale benestare espresso definendosi “orgoglioso” dei rapporti col Quirinale, al cosiddetto “terzo partito”, costituito dal capo dello Stato e dai ministri prevalentemente tecnici degli Esteri e dell’Economia, l’uno diplomatico e l’altro economista, ho notato dal mio modestissimo osservatorio un certo imbarazzo di Sergio Mattarella. Che ha continuato, per carità, a tenere l’agenda piena di impegni, servitigli spesso per esternazioni riferibili, con qualche allusione culturale o costituzionale, a fatti e contingenze politiche, ma si è fatto adesso più parco nell’uso delle parole.

Forse il presidente della Repubblica ha avvertito il pericolo di coprire troppo il presidente del Consiglio in quella che un notista politico di lunga esperienza come Stefano Folli definito su Repubblica la ricerca di “una seconda vita”, dopo un anno trascorso all’ombra, o quasi, dei sue due vice e capi dei rispettivi partiti di governo: il grillino Luigi Di Maio e il leghista Matteo Salvini. Più che il presidente, egli ne era apparso qualche volta il sottosegretario, secondo la impietosa rappresentazione di qualche critico.

Ora invece Conte vuole “carta bianca” dai vice finalmente accorsi al suo invito per un vertice a Palazzo Chigi, ha titolato La Stampa. “Il premier sfida i due vice”, ha annunciato La Gazzetta del Mezzogiorno.

Il vignettista del Fatto Quotidiano, Vauro, lo ha rappresentato spazientito nell’accogliere sulla porta i due vice accorsi sgomitando e litigando fra di loro, come se fossero ancora in campagna elettorale e non si fossero già riconciliati incontrandosi qualche giorno prima su un altro piano di Palazzo Chigi, quando Conte era ancora in Vietnam. Ma più realisticamente Repubblica ha titolato “Due contro uno”, e Il Messaggero “assedio a Conte”. Che dall’idea di poter dare finalmente ordini ai due vice, avvalendosi delle prerogative del famoso articolo 95 della Costituzione, più volte rinfrescato alla sua memoria da Mattarella in persona fra un piatto e l’alto delle loro colazioni di servizio e di cortesia al Quirinale, temo stia passando alla paura di doversi rassegnare a tornare a prenderne, di ordini.

E ciò, sia pure a schiena apparentemente dritta, facendo buon viso a cattivo gioco, e ripetendo ad ogni giornalista ammesso al suo telefono o alla sua presenza di essere pronto, per carità, a lasciare, cioè a dimettersi, piuttosto che “galleggiare” o, come diceva e spesso preferiva la buonanima di Giulio Andreotti, a “tirare a campare, piuttosto che tirare le cuoia”.

D’altronde, pur avendo di suo un doppio e ben remunerato o remunerabile mestiere, di professore universitario e di avvocato civilista, e sulla carta persino qualche titolo per aspirare al doppio ruolo di tecnico e politico pronosticatogli o attribuitogli sul Giornale della famiglia Berlusconi dall’immaginifico Augusto Minzolini, dopo aver fatto il presidente del Consiglio Conte difficilmente potrà trovare nel quadro competitivo riaperto a vari livelli dai risultati elettorali di questa primavera elettorale, la “nuova vita” di cui ha scritto Folli. A meno che non gli basti quella foto galeotta in un giardino, alle prese anche lì però non con uno ma con due cani.

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