Attenzione al piano Mattei, perché dentro c’è la nuova filosofia di un governo che ha colto la sfida del tempo e si muove di conseguenza per scongiurare scenari peggiori rispetto a un oggi già problematico per l’Africa e soprattutto per il nostro Paese. Parola dell’analista Francesco Galietti, esperto di scenari strategici e fondatore di Policy Sonar, che in questa intervista a Start Magazine richiama l’attenzione, più che sul piano in sé, sulla visione del mondo che si staglia dietro il Piano.
Galietti, qual è la filosofia dietro il piano Mattei?
La filosofia del piano merita la massima attenzione perché non siamo di fronte all’ennesima iniziativa transazionale ma a qualcosa di molto più ampio e strutturato che io addirittura definirei una grand strategy.
Cosa intende?
Stiamo parlando di una categoria che i governi italiani raramente hanno maneggiato, avendo vissuto tutti più o meno alla giornata, secondo la ben nota inclinazione antropologica che ha fatto della volatilità la vera cifra della nostra politica.
Come Giorgia Meloni avrebbe superato il nostro cronico deficit di orizzonte?
Il piano Mattei mette in evidenza uno sforzo senza precedenti da parte di Meloni che vuole dare un ampio respiro alle sue politiche attraverso una accurata pianificazione. La premier in poche parole si sta cimentando in un esercizio poco italiano che ricorda di più la Prussia. Il piano Mattei è un vero inedito nella storia della nostra diplomazia. Ma questo è solo il primo punto.
Qual è il secondo?
Lo definirei un punto filosofico, ossia di impostazione complessiva. Per trovarlo dobbiamo risalire alla genesi del piano emersa soprattutto dalle dichiarazioni fatte nel tempo dalla Meloni e dai suoi collaboratori come Crosetto.
L’altro ieri la Stampa ha pubblicato un a lunga intervista con il ministro della Difesa.
In quell’intervista il ministro non ha solo anticipato l’intenzione di introdurre una riserva che faccia da complemento alle forze armate. Ci ha in realtà rivelato la sua visione di un mondo molto cambiato dove i conflitti non sono più rari e isolati ma la norma. Il mondo in cui il massimo sforzo richiesto al nostro Paese era quello di fornire qualche militare alle missioni internazionali di pace è finito e dobbiamo prepararci, ci dice Crosetto, a scenari in cui dovremo pensare addirittura a come difendere l’integrità territoriale dell’Italia.
Parte da qui la grand strategy?
Sì: il secondo punto filosofico si basa proprio sul fatto che l’Italia accantona definitivamente l’idillio bucolico di un mondo in pace dove svolazziamo da un aperitivo all’altro. Comincia invece una fase di attrito protratto tra grossi blocchi geopolitici che si contrappongono e sfrizionano l’uno contro l’altro. Questo scenario richiede secondo il governo una mobilitazione generale che passa dal potenziamento non solo delle forze armate ma anche dell’industria bellica nazionale.
Quale ruolo per un’Africa già precipitata nella sfera d’influenza di due potenze ostili come Russia e Cina?
L’Africa è l’epitome di tutti i problemi di cui stiamo parlando. Ve li ritroviamo proprio tutti: il conflitto tra Occidente e Cina; una presenza russa che ha proprio lo scopo di nuocere all’Occidente; i grandi flussi migratori, il jihadismo di al-Qaeda e dello Stato Islamico e ora anche lo spillover del conflitto tra Israele e Hamas. L’Africa non è un microcosmo ma un macrocosmo in cui coabitano tutti i problemi del mondo moderno.
Al vertice Italia-Africa c’erano i governi di mezzo continente. Quali sono gli attori per noi imprescindibili?
L’Italia non può prescindere anzitutto dall’Egitto, Paese rilevantissimo per dimensioni, centralità e rilevanza in alcuni disegni strategici come quello di fare dell’Italia il perno energetico dell’Europa. Ma la nostra tradizionale sfera d’influenza si allarga al Corno d’Africa, e qui non possiamo dimenticare la nostra unica base militare d’oltremare a Gibuti.
A Gibuti c’è mezzo mondo, persino i cinesi hanno una base.
Naturalmente sì, ed è comprensibile se consideriamo la quota di commercio globale che transita via nave da quelle parti. Quello è un collo di bottiglia, come sanno benissimo gli Houthi.