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Perché il governo Scholz è un po’ turbato dalla vittoria di Trump

La vittoria di Trump e i dolori di Berlino. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti

Mentre dagli Stati Uniti imperversava sul suo social media X un incontenibile Elon Musk, a dare il buongiorno (si fa per dire) agli utenti tedeschi sulla piattaforma è stato il sarcasmo di Carlo Masala, docente di politica internazionale presso l’Università Bundeswehr di Monaco e uno dei maggiori esperti di geopolitica e sicurezza della Germania. “È ancora un po’ troppo presto”, ha scritto il professore alle luci dell’alba mentre si profilava ormai certa la vittoria di Donald Trump, “ma sembra stia diventando chiaro che la strategia giusta era quella di sostenere l’Ucraina dal 2022 solo per non farla perdere e non per accelerare in modo massiccio la Zeitenwende, la svolta epocale”.

Trump torna alla Casa Bianca e a Berlino si materializzano gli incubi più spaventosi. Il sarcasmo del professore non sarà l’antidoto a un pessimo buongiorno, ma può contribuire a evitare patetici salti in avanti dettati da reazioni emotive.

Come quella di chi proprio mentre negli Usa il conteggio degli ultimi Stati in bilico certifica il ritorno del tycoon auspica che questa rielezione possa essere una sveglia per l’Europa, ora finalmente costretta a imboccare la strada dell’indipendenza dagli Usa per la propria sicurezza. “Agli entusiasti della sveglia per l’Europa vorrei ricordare che costerebbe più di un decennio e una somma di miliardi a tre cifre per diventare indipendente dagli Stati Uniti (anche ammesso che lo volesse politicamente). E cosa succede nel frattempo?”, ribatte ancora Masala su X, “è bello presentare soluzioni in questo momento. La realtà è che siamo fottuti, come ha detto John Bolton. I sogni di autonomia non aiutano ora. Sono, se mai, solo prospettive a lungo termine. Cosa succede nel breve termine?”.

Già, cosa succede? La Berlino politica sembra oggi un Giano bifronte, che guarda al futuro e al passato. Il futuro è quello di altri quattro anni sballottati dalla furia di Trump, un cataclisma che si ripete e si abbatte come l’ultimo chiodo sulla bara della globalizzazione, dopo il primo mandato dello stesso Trump che inasprì le guerre commerciali soprattutto con la Cina, poi la pandemia e la guerra russa in Ucraina, a due passi dalle porte di casa. Il passato potrebbe presto essere quello del governo semaforo, appeso alle convulsioni della più piccola delle sue tre gambe (quella liberale) e ingolfato dalla più grave crisi economica e industriale che abbia colpito la Germania dal dopoguerra e che le sue politiche hanno contribuito ad approfondire.

Restare senza governo e immergersi in una lunga campagna elettorale nel mezzo della transizione politica americana accentuerebbe le incertezze che da oggi torneranno ad addensarsi sull’Europa, ma già adesso la Germania offre lo spettacolo di un vuoto politico che inghiotte e rende più drammatica la crisi economica.

Sebbene questa volta Berlino abbia mosso alcune sue pedine per agganciare ambienti repubblicani e provare a prendere le misure alla seconda presidenza Trump, Olaf Scholz si troverà spiazzato. Qualche giorno fa, contravvenendo alle regole della prudenza diplomatica, davanti ai giornalisti aveva elogiato Kamala Harris (“La conosco bene, sarebbe sicuramente un ottimo presidente”) e aveva declinato con un po’ di fastidio la richiesta di un commento sul candidato repubblicano.

“Il governo tedesco puntava tutto su una vittoria di Harris”, osserva la Neue Zürcher Zeitung (Nzz), “non sembra avere un piano B e questo è rischioso. Con la vittoria di Trump i fallimenti del governo tedesco verranno esposti in modo spietato. La Germania avrebbe dovuto sfruttare il periodo di presidenza di Joe Biden per rendersi più indipendente dagli Stati Uniti. Invece, ha dormito troppo negli ultimi quattro anni”.

È lo stesso giudizio del politologo Masala, al netto del sarcasmo che si può concedere a uno studioso. Per l’autorevole quotidiano svizzero “Scholz vuole ora riarmare e rafforzare il pilastro europeo della Nato, ad esempio attraverso l’accordo di difesa recentemente concluso con il Regno Unito, ma questo non sarà sufficiente se gli Stati Uniti ridurranno i loro aiuti all’Ucraina e saranno meno coinvolti nella Nato”. Il cancelliere dovrebbe diventare l’alfiere della difesa europea, assumere un ruolo di leadership, ma è difficile che un uomo finora incapace di essere un leader nel suo stesso Paese possa di colpo trovare il bastone del comando a livello europeo. Tanto più che la stessa Nzz riconosce che finora il cancelliere tedesco non ha dato segnali in questo senso nella politica di difesa, nonostante parole e promesse: “Nelle sue considerazioni ha sempre cercato di non provocare Putin, ma in tempi di guerra l’Europa non può permettersi un leader vacillante”.

Ma i partiti di governo (Spd e Verdi su tutti) sono anche preoccupati dalle ragioni interne che hanno portato alla vittoria di Trump. Per tutti le riassume lo Spiegel: l’enorme inflazione negli Stati Uniti, il forte aumento dell’immigrazione, la ricerca di un uomo forte da una parte della società che è afflitta da profonde paure di declino. “Sembra che non solo sia riuscito a conquistare i suoi elettori principali, gli uomini bianchi senza laurea, ma anche molti giovani in particolare, e che sia stato in grado di aumentare la sua quota di voti latini e neri”, prosegue il settimanale progressista. Sono temi e paure che si fanno strada anche nella società tedesca che comincia ad avvertire i morsi della crisi economica e vede lo spettro della de-industrializzazione.

La vittoria di Trump può dare nuova forza non solo all’opposizione tradizionale cristiano-democratica, ma soprattutto ai partiti più estremi, già in ascesa, come la destra di AfD e il partito ibrido di Sahra Wagenknecht. Anche questa considerazione sarà oggi sul tavolo di confronto fra i leader della maggioranza. Il governo tedesco è in bilico e il buongiorno americano non è stata una buona sveglia.

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