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Tunisia

Il governo Meloni sarà l’inizio di una nuova normalità (atlantica)

Da oggi l’Italia sarà più simile alla Francia o alla Germania. Paesi che, con largo anticipo, sono stati capaci di fare i conti con la loro storia più recente, sebbene i loro traumi interni non siano stati meno gravi di quelli italiani. L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Ed ora basta con la retorica dell’antifascismo. Il Paese, dando a Giorgia Meloni la chance di divenire presidente del Consiglio, sebbene donna (un’aggravante) e leader di Fratelli d’Italia (il partito più contiguo all’evoluzione storica della destra italiana) l’ha rifiutata. Come ha rifiutato le proposte di chi richiedeva l’analisi del sangue per contare gli eventuali globuli neri e, sulla base di quel risultato, escludere dalla competizione politica un pericoloso concorrente.

Del resto i primi a non credere al grido di “al lupo al lupo” erano stati proprio i suoi più decisi oppositori. Se il pericolo era quello di una nuova “marcia su Roma”, allora la strategia del Pd doveva essere diversa. Riesumare il CNL, il Comitato di liberazione nazionale, e presentarsi all’appuntamento elettorale con uno schieramento che andava da Carlo Calenda e Matteo Renzi fino a Giuseppe Conte. Operazione che poteva essere facilitata, considerando le contraddizioni di questa assurda legge elettorale. A metà strada tra il proporzionale ed il maggioritario essa obbligava a stringere alleanze. Basti vedere la differenza che si è manifestata tra le percentuali dei voti conquistati ed il numero dei seggi ottenuti da ciascun partito. Ma così non è stato.

Tutto ciò non significa, ovviamente, voler negare il valore della Resistenza. Quel misto di lotta di liberazione nazionale e di guerra civile che aveva consentito all’Italia di far fronte all’ignavia delle sue élite, a partire da Casa Savoia. E quindi riscattare l’onore degli italiani. La Resistenza rimane cosa grande, che altri hanno cercato di rimpicciolire, nel tempo, trasformandola in semplice strumento di lotta nemmeno politica (sarebbe stato già nobile) ma solo elettoralistica. Solo che, a distanza di oltre 70 anni, è giusto considerare quell’elemento fondativo il sedimento storico su cui è stata costruita la Repubblica italiana e non certo la bandiera, con cui fomentare lo scontro di piazza.

Averlo solo tentato, per altro in modo contraddittorio ed il più delle volte estemporaneo, ha tolto credibilità ad un’intera prospettiva politica. Inevitabile. Oggi i protagonisti della scena internazionale sono coloro che, in passato, avevano contribuito in modo determinante alla sconfitta del nazi-fascismo. Ma che si ritrovano su posizioni contrapposte. Da un lato Vladimir Putin costretto a ricorrere alla retorica della denazificazione (c’è qualche attinenza con l’antifascismo militante?), per alimentare una revanche che punta direttamente alla ricostituzione del vecchio impero ottocentesco di santa madre Russia ed al tempo stesso a disarticolare la geopolitica del XXII secolo. Dall’altro americani, inglesi ed europei schierati a fianco del popolo ucraino. Non solo in difesa dei loro diritti inalienabili, ma decisi a impedire un qualsiasi possibile effetto domino, seppure traslato verso un incerto futuro.

Ebbene in questo contesto, così diverso dal “secolo breve”, la posizione di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni (altro che postfascismo!) è stata inamovibile. L’Occidente come stella polare dell’agire politico. La Nato come strumento indispensabile di difesa da possibili aggressioni. Gli Stati Uniti, un alleato prezioso da supportare contro gli attacchi più volgari di neo pacifisti prezzolati, per riprendere il senso di una posizione espressa dallo stesso Draghi. L’Europa, infine, da richiamare alle sue responsabilità. Se la lotta contro un nemico esterno (il neoimperialismo russo) è comune, allora, anche i costi devono essere ripartiti. Non è tollerabile che Paesi, come l’Olanda o la Norvegia, grazie a Gazprom ed alle sue politiche di contenimento dell’offerta di gas, realizzino profitti milionari. Mentre il resto del continente è strangolato dalla morsa dell’inflazione.

Una coerenza che ha premiato, mostrando agli elettori che gli eventuali esami di maturità erano stati ampiamente superati. Cosa, invece, ch’era risultata più difficile ai suoi più stretti alleati: Forza Italia e la Lega. Il cui risultato elettorale somiglia ad una mezza Caporetto. Quanto hanno pesato, nel giudizio degli elettori, le incertezze sulla loro collocazione internazionale? Gli antichi sodalizi con Putin, spesso riaffiorati nella stessa campagna elettorale dando luogo a vere e proprie gaffe, oppure le dichiarazioni estemporanee contro le sanzioni di chi, novello Papa Francesco, proponeva addirittura improbabili viaggi in grado di convincere Putin a scegliere la via della pace. In entrambi i casi, posizioni ambigue, in grado di alimentare i più disonorevoli sospetti.

Se questo è il quadro, qual è allora il filo rosso che si intravede nei risultati di queste elezioni? Forse la fine di un ciclo politico decennale. E l’inizio di una nuova normalità. Quella di un’Italia che esce, per ultima, dal lungo tunnel che aveva caratterizzato la storia del ‘900. Con quella presenza così estesa di un partito comunista, capace di fare la differenza nei confronti di tutti gli altri Paesi europei. Da oggi in poi l’Italia sarà più simile alla Francia o alla Germania. Paesi che, con largo anticipo, sono stati capaci di fare i conti con la loro storia più recente, sebbene i loro traumi interni non siano stati meno gravi di quelli italiani. Si pensi solo alla Resistenza francese, capace di sviluppare una lotta senza quartiere contro l’occupazione nazista ed il regime di Vichy. Anche in quel caso i comunisti francesi ne furono una delle componenti più impegnate, grazie al ruolo dell’” Organisation Spéciale”, che ne divenne il braccio armato. Un contributo che consentirà al PCF di svolgere un ruolo importante all’indomani della liberazione. Destinato, tuttavia, ad esaurirsi con la caduta del muro di Berlino.

In Germania i problemi, all’interno della sinistra, erano stati risolti in epoca ancora più antica. Nel 1959 il congresso di Bad Godesberg aveva segnato per la socialdemocrazia il definitivo abbandono del marxismo, conquistando la maggioranza della classe operaia. I comunisti, inizialmente schierati nel Kommunistische Partei Deutschlands, (KPD) erano già confluiti, dissolvendosi, nell’SPD. Rimasero latenti in piccoli gruppi, fino ad emergere, nel 2007, come componente della Die Linke, testimonianza anche importante di un tempo passato; ma del tutto incapaci di poter rappresentare una reale alternativa.

Da questi cenni, seppure sommari, risulta evidente qual è stata la grande anomalia italiana. Nei Paesi più simili, come peso specifico, storia e cultura, vincitori e vinti del passato regime riuscirono rapidamente a convivere, dando luogo al dipanarsi di una nuova storia nazionale. In Italia, invece, quell’antica frattura è rimasta e si è perpetuata, trasformando la normale dialettica politica in un continuo ed astratto “confronto di civiltà”. Cosa che non ha fatto poi tanto bene ai destini della Nazione.

Spetterà ora a Giorgia Meloni mettere fine a questa sorta di “maledizione”. Nel suo primo intervento a caldo, si è detta pronta, se questo sarà il suo destino, a governare avendo come punto di riferimento gli italiani tutti e non solo i suoi più diretti supporter. Intenzione più che lodevole. A cui sono legate le speranze di un riscatto nazionale da troppo tempo rinviato.

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