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Perché il governo Conte 3 non sarà migliore del Conte 2

Forse il prossimo governo non sarà peggiore. Ma di certo non sarà migliore. Ecco perché. Il commento di Gianfranco Polillo

“Il prossimo governo – si chiede Antonio Polito dalle pagine del Corriere della sera – sarà migliore?”. Per quanto la domanda sia necessaria, la risposta è tutt’altro che certa. Staremo a vedere, Troppe le incognite che pesano su un’evoluzione politica, che fa a pugni con il dramma che il Paese sta vivendo. E che richiederebbe una classe politica completamente immedesimata nella missione di salvare il salvabile. Non solo combattere la pandemia, ma evitare che, quando il virus prima o poi sarà sconfitto, l’Italia sia talmente sfibrata da perdere un terreno ben maggiore rispetto ai declassamenti, ipotizzati dai vari centri di ricerca internazionale. Ed allora sarà troppo tardi e non basteranno le alchimie di Rocco Casalino per camuffare verità che molti italiani non riescono a vedere.

Forse – questa almeno la nostra impressione – il prossimo governo non sarà peggiore. Ma di certo non sarà migliore. Il confronto è pertanto in discesa. Motivato, innanzitutto, da robuste considerazioni di carattere costituzionale. Una forza politica, come Italia Viva, sarà sostituita da un’armata Brancaleone. Anche questo sarà un partito, come preteso da Sergio Mattarella, ma di questa forma avrà solo il nome. Per il resto sarà, nelle migliori dei casi, solo un grumo di paura. Paura di perdere privilegi ed appannaggi. Paura di essere spazzati via dalla demagogia grillina sul taglio dei parlamentari. E nessuna remora nel consegnarsi e sostenere proprio coloro – Conte in testa – che quelle scelte furono i responsabili.

Si dice: anche Italia Viva fu frutto di una scissione. Una sorta di variabile rispetto all’ordinato – si fa per dire – svolgimento della legislatura. Chi ragiona così, non tiene conto del diverso contesto in cui episodi, che possono sembrare simili, devono essere collocati. Contesto che ne determina il segno complessivo. Allora Matteo Renzi – lo ha ripetuto nella sua conferenza stampa – fu colui che impedì l’accordo sotterraneo tra Matteo Salvini e Nicola Zingaretti. Bloccò il ricorso alle urne, per evitare di consegnare il Paese a chi chiedeva “pieni poteri”. Leggenda metropolitana? Forse. Ma sembrerebbe di no: alla luce del gesto temerario appena compiuto nei confronti di Giuseppe Conte. Che quei “pieni poteri” li stava esercitando.

Dalla nascita del Conte bis è passato poco più di un anno. Nel frattempo Italia Viva è andata caratterizzandosi con un profilo in cui cercava di riunire il senso della modernità e della competenza. La battaglia svolta contro una vecchia e burocratica impostazione iniziale del Recovery Plan non fu frutto del caso. Ma del cozzare di quel documento pasticciato contro quel minimo di decenza che è richiesto a elaborati, che hanno una caratura di carattere internazionale. Le stesse motivazioni che hanno portato alla dimissione delle due Ministre erano dense di contenuti e non certo figlie del richiamo al manuale Cencelli. Chi eserciterà questo ruolo una volta che questo gruppo sarà fuori dalla maggioranza governativa? Lo faranno i “costruttori”, i rappresentanti degli italiani all’estero. Quella fauna improbabile che si aggira tra i banchi del Senato e della Camera dei deputati.

Ma la nuova compagine governativa ne uscirà rafforzata, sempre che scatti martedì “l’ora segnata dal destino”, oppure le sue attuali debolezze subiranno una vistosa dilatazione? Finora i personaggi chiave, oltre a Rocco Casalino, sono stati Stefano Patuanelli e Roberto Gualtieri, che insieme a Giuseppe Conte hanno costituito quella sorta di trimurti, che ha guidato l’azione di governo. I capi delegazione – Dario Franceschini e Alfonso Bonafede – sono stati più defilati. Pronti ad intervenire in caso di bisogno. Mentre Luigi Di Maio, ex capo dei 5 stelle, aveva il problema di risalire la china e riconquistare la leadership perduta nei confronti di un movimento, sempre più in preda ad un’interminabile crisi di nervi.

Immaginiamo che le rispettive caselle non subiranno cambiamenti. Ed allora chi sarà in grado di correggere quella continua propensione all’errore, di cui lo stesso Nicola Zingaretti si è reso conto, al punto da doverlo ammettere apertamente? Lasciamo stare i rappresentanti dei 5 stelle. Dal punto di vista professionale sono quelli che sono. Absolute beginner. Studenti fuori corso, nelle migliori occasioni, che invece di studiare hanno perso tempo nei vari meetup. Rimane allora il Ministro dell’economia, come pivot. L’uomo a cui sono affidate le sorti finanziarie del Paese.

Roberto Gualtieri è stato un ottimo mediatore. In Europa, come Presidente della Commissione per i problemi economici e monetari, è riuscito a guidare i suoi parlamentari nella battaglia contro il Fiscal compact. E bloccarne l’automatico inserimento nell’ordinamento giuridico europeo. Solo per questo bisogna essergli riconoscenti. Ma basta questo per farne un buon ministro dell’Economia. Purtroppo, a Via XX Settembre, servono altre qualità. Occorre grinta e fermezza a difesa di un bene prezioso, qual è il futuro degli italiani. Non è certo un caso se a Via Cernaia, di fronte ad uno degli ingressi del Ministero, vigila, da più di un secolo, la statua di Quintino Sella. Che fu l’artefice del pareggio di bilancio.

Si potrebbe argomentare: nessuno toglierà ad Italia Viva la possibilità di controllare, dal Parlamento, l’attività del Governo. Ma questo è il problema principale di una politica che tenta di esorcizzare, senza per altro riuscirci, la pandemia, riducendo il ruolo delle assemblee elettive. Non si dimentichi che l’ultima legge di bilancio è stata votata dal Senato a scatola chiusa, a causa dei ritardi governativi nel predisporre il relativo disegno di legge. E così uno degli atti più significativi, legati al diritto-dovere del Parlamento di controllare la legge regina dell’esercizio finanziario, è stato alla fine vanificato, con un grave vulnus delle stesse regole costituzionali.

Questo quindi il quadro, che non alimenta grandi speranze. Si può tuttavia sperare che l’interrogativo posto da Antonio Polito possa alla fine trovare una risposta diversa. Non sempre il pessimismo della ragione deve avere il sopravvento. C’è anche l’ottimismo della volontà. Quando non si trasforma in un semplice alibi.

Gianfranco Polillo

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