C’è un che di surreale nel modo in cui si sta consumando la crisi politica tedesca all’indomani del voto europeo. A Berlino i socialdemocratici crollati al minimo storico si cimentano in quello che da anni riesce loro meglio: tramare, preferibilmente dietro le quinte, per decapitare politicamente il proprio leader. Andrea Nahles certamente non è Willy Brandt e neppure Gerhard Schröder ma ha un’indole pasionaria, è capace di aggiungere dramma alla farsa. Per cui, dopo aver messo in gioco tutti i suoi ruoli dirigenziali, capita l’antifona, si rifiuta di presentarsi sul patibolo e, nella domenica conclusiva di un lungo e sonnacchioso ponte estivo, anticipa le mosse e annuncia le dimissioni da tutto: capogruppo al Bundestag, presidente del partito, forse anche deputata. Addio, compagni.
A BERLINO IN SCENA IL DRAMMA SPD MENTRE MERKEL VIENE CELEBRATA A BOSTON
Solo un paio di giorni prima, quasi noncurante rispetto alle inquietudini che agitavano il governo che pure guida, Angela Merkel è salita su un altro podio, quello delle cerimonie dell’Università di Harvard. A Boston, oltre 6.000 chilometri lontano da Berlino, ha ricevuto il dottorato di ricerca honoris causa per la politica delle porte aperte ai migranti. È stata celebrata come leader del mondo libero in contrapposizione al presidente di casa, lei stessa ha impostato il discorso di ringraziamento (di fatto la sua eredità politica) falciando i neo-protezionismi politici ed economici di Donald Trump, senza mai nominarlo. Mentre Nahles precipitava nella polvere a Berlino, rischiando di trascinare con sé l’intera Grosse Koalition, Merkel si innalzava nell’Olimpo delle icone globali. Due realtà parallele difficilmente conciliabili.
PRIMO SONDAGGIO POST EUROPEE: I VERDI PRIMO PARTITO, LA MAGGIORANZA NON C’È PIÙ
Tanto più che il sistema politico tedesco non è mai stato così in movimento come adesso. Un sondaggio, il primo dopo il voto alle Europee, ha evidenziato l’accelerazione delle tendenze manifestatesi una settimana prima: se si votasse oggi i Verdi balzerebbero al primo posto, scavalcando in una botta sola l’Unione dei democristiani, Cdu e Csu, l’Spd sprofonderebbe al 12 per cento, al livello dei nazional-populisti. I partiti che sostengono la Grosse Koalition non avrebbero più la maggioranza. I sondaggi valgono lo spazio di una telefonata e realizzati dopo un voto raccolgono l’emotività creata dall’eco del risultato precedente. Ma per la prima volta nella storia tedesca l’ipotesi di un cancelliere ecologista non è fantapolitica. Con elezioni anticipate, l’addio alla lunga stagione della Grosse Koalition (tre delle ultime quattro legislature) potrebbe passare attraverso una rottura nella tradizione della Bundesrepublik: un governo a guida verde è stato finora sperimentato al livello amministrativo più alto solo nel Land di Stoccarda.
COME REAGIRE? PER MERKEL, RESTANDO FERMI E AKK SI ACCODA
La crisi dei partiti (che non risparmia affatto la Cdu) rischia così di sfociare in una crisi di governo. Come reagire? Per Angela Merkel, restando fermi. Mantenere il piano prefissato di arrivare alla fine della legislatura, riprendere in mano i dossier sul tavolo, serrare le fila, non cambiare squadra ministeriale a parte la necessità di rimpiazzare il posto di Katarina Barley emigrata a Strasburgo. “Proseguiremo il lavoro del governo con senso di serietà e responsabilità”, ha detto dopo aver appreso la notizia delle dimissioni multiple di Nahles. Sulla stessa linea l’attuale capo della Cdu, quella Annegret Kramp-Karrenbauer uscita anch’essa ammaccata dalla prova elettorale (e da quella comunicativa) e sempre più simile all’immagine di Mini-Merkel che le avevano appiccicato addosso i suoi avversari ai tempi della corsa alla guida della Cdu. Se da un lato è nel dna dei cristiano-democratici enfatizzare il senso di responsabilità istituzionale, dall’altro tale immobilismo tradisce la paura delle urne e i dubbi che l’esponente scelta per succedere ad Angela Merkel non venga percepita all’altezza del ruolo di cancelliere.
LA CRISI NELL’SPD APERTA A OGNI ESITO MA I MINISTRI VOGLIONO GOVERNARE
L’Spd è incerta, alle prese con la sua crisi d’identità di lungo periodo e il rimescolamento dirigenziale contingente. Senza un’idea di paese dai tempi dell’Agenda 2010 di Schröder, cui il partito imputa tuttavia la perdita di consenso con il suo elettorato, si è avvitata negli ultimi 15 anni attorno a leader puntualmente bruciati sull’altare di intrighi interni (15 presidenti dalla riunificazione a oggi, tra eletti e commissari). Da tre lustri il partito oscilla tra responsabilità istituzionale, che lo spinge nelle braccia di Angela Merkel, e velleità di ritorni rivoluzionari senza riuscire a trovare la cifra di una sinistra moderna, capace di interpretare sfide e bisogni di oggi. Nel breve periodo, il caos regna sovrano. Il ministro delle Finanze Olaf Scholz (impegnato a smarcare il proprio fallimento da quello di Nahles) promette che questa Grosse Koalition sarà l’ultima (ma lo disse anche Martin Schulz, che dovette poi ricredersi). Una federazione regionale e alcuni parlamentari influenti premono invece per farla finita subito ma altri colleghi temono, e a ragione, il ritorno alle urne che per molti di loro sarebbe un ritorno a casa. La situazione è interlocutoria, aperta a ogni esito. La componente ministeriale punta a un commissariamento: nominare tre leader, probabilmente due donne e un uomo, nella speranza che in tre facciano quel che evidentemente non riesce a uno solo. E in attesa di farsi venire un’idea più originale, guadagnare tempo e restare al governo.
L’ASPRO GIUDIZIO DEL PRESIDENTE DEGLI INDUSTRIALI E LA SFIDUCIA DEL MONDO ECONOMICO
Chi invece sta perdendo la pazienza con questa Grosse Koalition è il mondo dell’industria. Già nei mesi scorsi vari esponenti dell’universo economico hanno espresso con nettezza non consueta critiche per la mancanza di una bussola di orientamento, lamentando assenza di investimenti coerenti per dotare il paese di quelle infrastrutture materiali e digitali in grado di garantire anche in futuro la prosperità dell’economia tedesca. Adesso, nel mezzo della tempesta post elettorale, interviene direttamente il presidente degli industriali Dieter Kempf. In un’intervista all’Handelsblatt Kempf, pur mantenendo toni pacati e non auspicando la fine della Grosse Koalition, accusa il governo di perseguire “obiettivi clientelari”, privilegiando “senza coraggio impegni sociali di piccolo cabotaggio”: “È troppo sbilanciato su politiche di redistribuzione”, specifica il presidente della Bdi, “e ha scelto priorità assai dubbie dal punto di vista della ricaduta economica”. Dal punto di vista degli industriali sarebbe invece fondamentale mettere mano con coraggio a una riforma della tassazione sulle imprese. L’appello al ministro delle Finanze è di “non ignorare ancora a lungo l’enorme peso cui devono sottostare le imprese nella competizione fiscale” e la necessità “in una situazione congiunturale divenuta più difficile di poter disporre di più risorse per gli investimenti”. Poi ancora una bocciatura per la strategia industriale del ministro dell’Economia Peter Altmeier e l’apertura verso politiche ambientaliste: “L’esito delle elezioni europee renderà ancora più prioritari i temi della difesa del clima e della sostenibilità e il governo deve lavorare per soluzioni sostenibili che salvaguardino anche l’industria del paese. Ma finora non mi pare di vedere un gruppo di lavoro dentro il governo”. Tra le righe: il problema non è solo l’Spd e i Verdi non fanno più paura.