Caro direttore,
ho visto che il tuo tweet sta rimbalzando qua e là su X, rilanciato anche da molti addetti ai lavori e da qualche amicizia virtuale (e non solo) comune.
LE INCREDIBILI PAROLE DEL PRESIDENTE DEGLI EDITORI NEL CHIEDERE ALTRI FONDI ALLO STATO PER I GIORNALI
«Se i politici non ci considerano una fonte primaria da sostenere, non possono poi chiederci di coprire tutte le loro attività. Se non troveremo le risorse, ridurremo gli spazi,…
— Michele Arnese (@Michele_Arnese) December 16, 2025
Questa volta non posso contestare alcunché: quelle che hai sottolineato sono parole imbarazzanti. Fanno quasi credere che nei giornali – ma qui attendo lumi da voi giornalisti, io come sai sono solo un osservatore puntuto e forse un po’ pedante – viga la consuetudine di “brandizzare” le interviste ai politici.
Di certo dal tenore del virgolettato non emerge che il principio sia quello della rilevanza della notizia, che molto ingenuamente pensavo guidasse i timoni di tutte le redazioni. E mi chiedo come gli editori possano sperare ancora di vendere qualche copia dopo che hanno ammesso così candidamente che si trovano spazi per questo o quel politico solo se lo Stato ci mette i soldi. Peraltro lascia intendere che finora si è sempre pubblicato dietro richiesta politica. Ohibò. Mi chiedo soprattutto come mai i Cdr sempre pronti allo sciopero tacciano (e con loro pure l’Ordine dei giornalisti, s’intende) nonostante da siffatte frasi emerga un modo di intendere la professione giornalistica estremamente mercantilistico.
Tuttavia ho deciso di scriverti in quanto noto che ti è sfuggito un pepato precedente. Qualche settimana fa, in sospetto tempismo rispetto ai lavori preparatori della legge di Bilancio, sui più grandi giornaloni è apparso questo accorato appello (supplica?) rivolto al mondo politico:
Data la chiosa (“appello per riconoscere un sostegno pubblico all’editoria contro la progressiva desertificazione informativa di molti territori, la chiusura delle testate e la scomparsa dell’informazione politica, la fine dell’informazione sulle amministrazioni locali”) parecchio ricattatoria che peraltro veicolava il medesimo messaggio poi espresso a chiare lettere dal presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, nel tuo tweet mi aspettavo parecchie polemiche.
Invece, se non ne ha parlato nessuno è sola l’ennesima conferma del fatto che i giornali non vengono più letti da nessuno. Lo dicono i dati sulle tirature che voi di Start raccogliete mensilmente, lo dice soprattutto la sparizione delle edicole: negli ultimi 15 anni si è passati da circa 38mila chioschi a quasi 11mila edicole, secondo i censimenti più recenti. Le poche che sopravvivono ormai vendono davvero di tutto: nel fine settimana ero a Genova e mi sono persino imbattuto in una che oltre alle carte Pokémon (immancabili) vendeva pure piante in vaso… Io stesso avendo perso le mie edicole di riferimento per non uscire dal mio quartiere leggo ormai ciò che scrivono i giornaloni di carta solo dal barbiere o mentre faccio colazione al bar sotto casa. E onestamente non sento la mancanza di una simile informazione, benché per chi è della mia generazione il momento dello sfoglio del giornale fosse una liturgia laica apparentemente irrinunciabile.
Men che meno mi verrebbe voglia di tornare ad acquistare i quotidiani ora come ora, sapendo che gli editori un po’ elemosinano un po’ minacciano il mondo politico mettendo sul tavolo della trattativa gli spazi delle interviste. Mi fa anche un po’ ghignare leggere lo stralcio finale dell’appello della Fieg (“contro la scomparsa dell’informazione politica, la fine dell’informazione sulle amministrazioni locali”) tenendo in filigrana quel passaggio di Andrea Riffeser Monti perché, diciamocelo, molte testate locali hanno come sezione ‘politica’ solo una raccolta di note per la stampa e comunicati vergati dalle segreterie di partito o dalle amministrazioni municipali. Così facendo si certifica che fossero stati sviliti – proprio per volontà degli editori dei giornali che a quanto pare decidono cosa va e cosa non va pubblicato – a mere bacheche informative, senza spazi per analisi critiche o interviste realmente ficcanti. Un quadro frutto di redazione ridotte all’osso, di collaboratori tagliati negli anni e quelli rimasti pagati per un paio di euro…
Ma probabilmente – dato che ti conosco – ti starai chiedendo come faccia a dire che questi appelli ad avere fondi pubblici si levino solo ora, in tempo di Legge di Bilancio. So che non ti basta la contemporaneità parecchio sospetta e allora sono andato a farmi un giro sul sito della Fieg. C’è spazio, direttore, per altre ghignate: lo scorso dicembre veniva infatti vergato tale comunicato “Gli editori della FIEG guardano con grande attenzione ai lavori della Commissione Bilancio del Senato sul ddl Bilancio e confidano nella sensibilità delle forze politiche rispetto al ruolo strategico che i giornali rivestono per la vita democratica, culturale ed economica del Paese”. Così il Presidente della Federazione Italiana Editori Giornali, Andrea Riffeser Monti, si è espresso sull’avvio, la prossima settimana, delle votazioni degli emendamenti in Commissione Bilancio del Senato.
“In un contesto caratterizzato da profondi cambiamenti nell’informazione, dalla crescente pressione sui ricavi e dall’aumento dei costi di produzione, è forte il rischio – ha affermato Riffeser – che il prossimo anno molti giornali siano costretti ad interventi di ristrutturazione, con inevitabili effetti sulla completezza dell’informazione e sull’occupazione: per evitare questo rischio, risulta essenziale potenziare gli strumenti di sostegno al settore messi in campo negli scorsi anni, così da poter continuare a garantire pluralismo, qualità dell’informazione e occupazione qualificata”. “Auspichiamo – ha concluso il Presidente della FIEG – che, nell’esame degli emendamenti al ddl Bilancio, trovino spazio le misure proposte in favore dell’editoria, come il credito sulla carta, e adeguate risorse per i contributi per le copie vendute, gli investimenti in innovazione, le assunzioni di giovani professionisti, gli aiuti alle edicole e alle imprese di distribuzione dei giornali”.
Dieci giorni dopo, vale a dire il 15 dicembre, altra nota – che riporto nuovamente per intero – del medesimo tenore: “Nelle prossime ore il Parlamento sarà chiamato ad esprimersi sulle risorse da destinare ai giornali: è questo il momento per evitare un futuro che metta a rischio l’informazione, con rischio di black out della conoscenza della attività politica e di Governo”, ha dichiarato Andrea Riffeser Monti, Presidente della Federazione Italiana Editori Giornali. “Rivolgo pertanto un ennesimo invito al Governo e a tutte le forze politiche, sia di maggioranza sia di opposizione, perché si garantiscano ai giornali e all’informazione di qualità adeguate risorse perché con meno informazione ci sarà meno libertà e meno democrazia”. “Abbiamo già detto – ha concluso il Presidente della FIEG – che i sessanta milioni aggiuntivi per i giornali previsti in alcuni emendamenti sono ampiamente insufficienti. Ribadiamo con forza che per contrastare una crisi senza precedenti dell’informazione e per evitare di mettere in pericolo l’occupazione dei 90mila addetti del settore è necessario aggiungere altre risorse per i giornali”.
Nel mentre, il 12 dicembre la Fieg vergava un altro comunicato dal titolo eloquente: “legge di bilancio, risorse all’editoria largamente inadeguate”.
Il martellamento è incessante: gli editori vogliono soldi pubblici. Se non andiamo a comprare i giornali all’edicola dobbiamo comunque pagarli coi soldi delle nostre tasse. Mi chiedo allora se non sia stato più corretto John Elkann che, non volendo evidentemente più rimetterci come proprietario di due testate a tiratura nazionale e non avendo più interessi a investire nel settore, ha deciso di vendere senza lagnarsi troppo col governo o col Parlamento? Ah, saperlo…
Augurandomi che la crisi dell’editoria non vi spinga a mettere a pagamento pure questi divertenti e irriverenti spazi per la corrispondenza, ti invio i miei più cari saluti,
Francis Walsingham





