Non conosco Gregory Alegi, ma sono d’accordo con il suo giudizio su Andrea Purgatori. Sicuramente è stato un grande giornalista, un professionista pieno di titoli, una persona che con il suo lavoro ha inciso nella storia del Paese. Però dobbiamo metterci d’accordo: un giornalista d’inchiesta è bravo quando scopre una verità nascosta, magari sfidando i poteri forti, svelando “di che lacrime grondi e di che sangue lo scettro dei regnatori”, oppure quando costruisce una vicenda infondata, riuscendo persino a convincere l’opinione pubblica di avere ragione?
Purgatori è stato uno dei primi e dei più bravi a dare credibilità ad una versione della strage di Ustica che ha retto anche dopo le sonore smentite delle sentenze che definirono – come ricorda Alegi – “Tutto il resto è fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte 81 vittime innocenti”. Oppure, sulla questione del Mig libico, “tutto il resto è frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra fredda o calda fino a cercare un (falso) collegamento con la caduta di un aereo Mig di nazionalità libica avvenuto in data successiva”.
Purgatori non era un brillante scrittore di spy stories, ma l’inviato di un grande quotidiano. Ebbe l’accortezza di mettere insieme in un racconto verosimile tutti i luoghi comuni di quel tempo, che purtroppo sono presenti anche oggi in tante indagini della magistratura inquirente in sinergia con i media specializzati nel dare corso a ciò che intriga l’opinione pubblica, anche quando si tratta di fatti inesistenti. Allora era sufficiente (purtroppo lo è anche adesso) coinvolgere la Nato in tutti i possibili misfatti ed essere creduti. La versione del duello aereo sul mare di Ustica e del missile che abbatte il velivolo dell’Itavia con tutti i passeggeri a bordo, mai provata nonostante l’impegno del giudice istruttore Rosario Priore, è tuttora la versione ‘’passata in giudicato’’ nell’opinione pubblica.
Che dire allora di un giornalista che ha tanto contribuito alla diffusione della subcultura del sospetto e della congiura, solleticando gli idola tribus di un Paese sobillato per decenni dalla propaganda che trasformava in amici i nemici e viceversa (fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia)?
Le spy stories dei grandi scrittori americani hanno attraversato l’Oceano, sono divenute sceneggiature di film di successo, vere e proprie saghe di cui è protagonista lo stesso personaggio e persino lo stesso interprete. Gli argomenti affrontati chiamano in causa la CIA, i suoi doppi giochi, i servizi deviati, l’arroganza del potere; misfatti che arrivano fino a lambire la Casa Bianca (altro che trattativa Stato/Mafia!). Ma quelli erano romanzi; le inchieste di Purgatori erano altrettanto avvincenti, ben costruite, con colpi di scena adeguati, ma pretendevano di essere la verità: quella che va oltre le sentenze e non ha bisogno di prove. Quella verità storica a cui si appellano i giustizialisti quando vengono smentiti dalla verità processuale.
Sinceramente, non riesco a trovare motivi di gratitudine per Andrea Purgatori. Riposi in pace.