Mario Draghi? Europeista, atlantista e liberista.
Certo. Ma anche, o soprattutto, pragmatico.
Più da liberale che da liberista, si direbbe.
Ma bando alle etichette.
Europeista? Mica tanto.
“Bisogna essere pratici. Il coordinamento europeo ha un grandissimo valore aggiunto, l’ho sempre sostenuto, ma qui però si tratta della salute. Quindi se il coordinamento europeo funziona, bene. Sennò bisogna andare per conto proprio. Questo è il pragmatismo a cui stavo facendo riferimento prima”, ha detto venerdì sera il presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa sul decreto Sostegni.
Draghi rispondeva a una domanda sull’idea evocata da Angela Merkel. A un interrogativo di un giornalista sul vaccino russo Sputnik, dopo alcune esternazioni del ministro della Salute, Jens Spahn, che aveva prefigurato la possibilità di una via anche solitaria di Berlino, la cancelliera tedesca prima che Draghi parlasse aveva detto: “La Germania utilizza tutti i vaccini autorizzati dall’Ema. Io preferirei un’impostazione europea. Se questa non dovesse arrivare, cosa di cui non ho indicazioni, dovremmo percorrere una via tedesca, questo sarebbe possibile. E lo faremmo anche”.
E Draghi, sulla scia di Merkel, ha sibilato: “Il coordinamento europeo è la prima strada da cercare sui vaccini. Se l’Ue prosegue su Sputnik bene, sennò si procederà in un altro modo. Con pragmatismo si deve cercare il coordinamento europeo, se non si riesce a mantenerlo si possono vedere altre strade”.
Atlantista? Mica tanto.
I filo America duri e puri anche in Italia sconsigliano anche solo l’idea che le autorità sanitarie possano valutare efficacia e sicurezza del vaccino russo. Draghi il pragmatico li delude su Sputnik.
Il presidente del Consiglio ha anche deluso i turbo-liberisti in servizio permanente effettivo (gli stesso che magari intascano finanziamenti e contributi pubblici a iosa).
Al giornalista di Bloomberg che ha chiesto lumi a Draghi quale strategia di Stato nell’economia ha intenzione di seguire – accennando al ruolo di Cdp, al dossier Autostrade per l’Italia e al caso Mps, controllata dal Tesoro – il presidente del Consiglio ha risposto: «Questa è una domanda da tempi di normalità ma qui siamo nell’emergenza. E per far ripartire l’economia non servono ora le mie vedute su Stato e mercato ma fa realizzata la campagna vaccinale perché senza vaccinazione la pandemia e dunque la recessione non si arresta».
Non solo: a chi gli chiedeva come intenda affrontare il problema del debito impennato e se si spenderà per il cambiamento delle regole e dei parametri, ha replicato con la stessa logica: «Questo è il momento di dare e sostenere aziende e lavoro, non di pensare al debito». Un passo in più sulle regole del patto di stabilità europeo: «Mi pare difficile che possano restare le stesse».
Con tanti saluti agli aedi dell’austerità liberistica.
D’altronde l’economista Giampaolo Galli, ex Bankitalia, già direttore generale di Confindustria e poi deputato del Pd, agli inizi di febbraio chiosò: “Draghi è una persona pragmatica. Questo significa che non ha senso parlare di Draghi come uomo dell’austerità solo perché nell’agosto del 2011 firmò la famosa lettera con Trichet al governo italiano in cui chiedeva tagli alla spesa pubblica. Tanto è vero che negli anni successivi, come presidente della Bce, fece due passi fondamentali che sono agli antipodi della austerità: il whatever it takes nell’estate del 2012 fu cruciale per ridurre gli spread di molti paesi tra cui il nostro e poi il quantitative easing che iniziò nel 2015 e dura tuttora”.
Proprio il pragmatismo è stato esplicitamente evocato e invocato da Draghi su un altro dossier: “Durante le consultazioni preliminari mi è stato chiesto da molti partiti cosa pensassi del Mes: occorre essere pragmatici. Al momento il livello dei tassi d’interesse è tale che prendere il Mes non è una priorità, ma c’è un motivo più importante: quando avremo un piano della sanità condiviso dal Parlamento e dall’opinione pubblica, allora verrà il momento di chiedersi se vale la pena prendere il Mes, altrimenti sono soldi buttati”.
In un colpo solo, l’ex presidente della Bce ha cestinato mesi e mesi di bla-bla politico-mediatico. Sbeffeggiando i fan del Mes e pure il governo precedente: dicendo “quando avremo un piano della sanità condiviso dal Parlamento e dall’opinione pubblica, allora verrà il momento di chiedersi se vale la pena prendere il Mes, altrimenti sono soldi buttati” ha fatto capire che ministri e partiti pro Mes erano tanto bravi nei gargarismi mediatici a favore di telecamere e taccuini tanto vacui nel preparare “un piano della sanità”.
L’apoteosi del pragmatismo è stata toccata con la risposta sul condono.“Sì, è un condono”, ha ammesso senza giri di parole Draghi in conferenza stampa.
Lo stralcio delle cartelle prevede un importo contenuto di 5.000 euro, “corrisponde ad un netto di circa 2.500 euro tra interessi e sanzioni varie”. E questo “permette all’amministrazione di perseguire la lotta all’evasione anche in modo più efficiente”. La norma sarà limitata ad una piccola platea, sotto un certo reddito “e forse con minore disponibilità economica. Avrà impatti molto molto limitati”, ha aggiunto.
Dato l’accumulo delle cartelle, ha continuato il presidente del Consiglio, “è chiaro che lo Stato non ha funzionato ed è importante che sia prevista una piccola riforma dei meccanismi di riscossione e discarico delle cartelle, il fatto di accedere a un condono oggi non avrebbe risolto il problema”.
Conclusione: signori e commentatori moraleggianti, sì il governo – composto anche da Pd, M5s e Leu – ha approvato un condono (senza fare capriole semantiche come “pace fiscale”, “transazione tributaria” o “accordo sistemico con l’Agenzia delle Entrate”), l’ha chiamato proprio così e il presidente del Consiglio non moraleggia, anzi dice “che lo Stato non ha funzionato”.
Zuccherino per i turbo-liberisti.
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