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Guerra Ibrida

Perché con Biden le relazioni Usa-Russia peggioreranno

Come cambieranno le relazioni Usa-Russia con l'amministrazione Biden. L'analisi di Nona Mikhelidze, responsabile del programma “Europa orientale e Eurasia” dello Iai, pubblicata su AffariInternazionali

 

Negli ultimi anni le relazioni tra Usa e Russia si sono progressivamente deteriorate a causa di diverse crisi cominciate con l’invasione russa della Georgia nell’agosto 2008, proseguite con l’annessione della Crimea nel 2014 e poi con l’ancora vivo conflitto in Ucraina, la guerra ibrida del Cremlino contro l’Occidente, fino alla sua presunta interferenza nella politica interna e soprattutto nelle elezioni dei Paesi dell’asse transatlantico.

Nel 2014, gli Stati Uniti imposero sanzioni punitive contro la Russia, provando ad aumentarle e potenziarle di anno in anno, arrivando così a colpire il Nord Stream 2 – il gasdotto che porta gas dalla Russia alla Germania – nel 2019. “Il Congresso degli Stati Uniti è letteralmente sopraffatto dal desiderio di fare di tutto per distruggere le relazioni Usa-Russia”, commentò allora il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.

La situazione è ulteriormente peggiorata dopo il caso Skripal nel 2018 e in modo simile, nei mesi scorsi, dopo l’avvelenamento di Alexey Navalny con l’agente nervino novichok. A fine 2020, poi, Washington ha affermato che un gruppo di hacker sostenuto dall’agenzia di intelligence russa Svr avrebbe effettuato un grave attacco informatico al governo federale degli Stati Uniti.

A fronte di questo contesto, quale potrebbe essere la politica estera degli Stati Uniti con Joe Biden alla Casa Bianca nei confronti della Russia? E come potrebbe rispondere Mosca?

LA DEMOCRAZIA TORNA IN AGENDA

“Inviterò i miei colleghi, i leader democratici di tutto il mondo a riportare il rafforzamento della democrazia nell’agenda globale… Vladimir Putin vuole credere, e farlo credere a chiunque altro, che l’idea liberale è ‘obsoleta’. Ma lo fa perché ha paura del suo potere”: parole di Joe Biden nell’editoriale-saggio “Why America Must Lead Again“, pubblicato l’anno scorso su Foreign Affairs, sostenendo inoltre che la lotta alla corruzione, la difesa dall’autoritarismo e la promozione dei diritti umani nel mondo saranno alcune delle principali priorità dell’agenda di politica estera della sua amministrazione.

I suoi alleati nella promozione della democrazia saranno non solo quei governi nazionali che la pensano allo stesso modo, ma anche e forse soprattutto le organizzazioni della società civile e gli attivisti per i diritti umani. In questo contesto, Biden ha promesso di “imporre costi effettivi alla Russia per la sua violazione delle norme internazionali e di stare con la società civile russa, che si è coraggiosamente schierata più volte contro il sistema autoritario cleptocratico del presidente Vladimir Putin”.

Nel campo della promozione della democrazia, la prima linea del “campo di battaglia” dove si fronteggeranno la nuova amministrazione statunitense e la Russia sarà estesa anche allo spazio post-sovietico e includerà almeno Ucraina, Bielorussia e Georgia. Già come vice di Barack Obama, Joe Biden si era occupato delle relazioni Usa-Ucraina e aveva visitato il Paese in sei occasioni. Molto attivo nella promozione delle riforme anticorruzione, si è battuto con forza a sostegno dello stato di diritto. Durante la scorsa campagna elettorale, il democratico ha promesso di aumentare l’assistenza all’Ucraina, compreso il supporto militare. Quindi, ci si può solo aspettare un ulteriore consolidamento delle relazioni con Kiev non solo nella promozione della democrazia e nel processo di attuazione delle riforme, ma anche nel campo della sicurezza.

Sarà applicata una maggiore enfasi sulla democrazia anche in Georgia, dove è al potere un regime oligarchico, e in Bielorussia, al centro di mesi di continue proteste contro la dittatura di Aleksandr Lukashenko. Biden si è già espresso a sostegno del popolo bielorusso, criticando Mosca per aver aiutato l’autocrate a mantenere il potere.

Secondo Biden, dunque, e per sua stessa ammissione, la democratizzazione dello spazio post-sovietico “servirebbe da potente contro-esempio al dominio del governo cleptocratico e autoritario di Mosca e ne delegittimerebbe l’autorità sul lungo termine”.

LA REAZIONE DI MOSCA

Un Biden volenteroso di riportare la democrazia nell’agenda globale metterà però in bilico le relazioni tra Washington e Mosca. Già nel 2012, Putin si era convinto che l’Occidente si stesse preparando a rovesciare il suo governo e a porre fine alla sua leadership. E allo stesso modo ha condannato le “rivoluzioni colorate” nel vicinato russo e ha sostenuto che ci fosse Washington dietro gli eventi Euro-Maidan del 2013-2014, visti da lui solo come un colpo di Stato e un tentativo incostituzionale per far cadere il governo filo-russo di Kiev.

In generale, la promozione della democrazia da parte degli Stati Uniti è stata interpretata dal Cremlino come un’ingerenza americana nella sfera di influenza russa, imposta con l’obiettivo di stabilire far salire al potere governi filo-statunitensi e, successivamente, di innescare un cambio di regime anche in Russia. Di tutta risposta, Putin ha creato la propria narrativa attorno alla democrazia russa, che ha le proprie tradizioni di autogoverno e non è un’incarnazione di standard imposti dall’estero.

In vista delle imminenti elezioni parlamentari del 2021 in Russia – e dato il deterioramento del contesto socio-economico nel Paese -, il Cremlino ha già preso qualche cautela, iniziando a limitare la vita politica e le attività dei cittadini. Putin ha appena firmato un nuovo disegno di legge sugli “agenti stranieri”, per indicare come tali le ong, i media, i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani che ricevono sovvenzioni dall’estero; tutte realtà sospettate di essere coinvolte “negli interessi di uno Stato straniero”. Con le nuove controverse restrizioni sono state imposte anche limitazioni alle manifestazioni pubbliche ed è stato criminalizzato anche il blocco delle strade in segno di protesta.

UN QUADRO CUPO ALL’ORIZZONTE

Così, mentre Joe Biden si prepara a guidare la comunità transatlantica nella promozione dei valori occidentali, il Cremlino inizia a irrigidire il proprio sistema autoritario. Considerando che nessuna delle due parti comprometterà i suoi principi e interessi geopolitici, ci si può solo immaginare un quadro cupo, pieno di crisi politiche e diplomatiche tra i due Paesi.

Detto questo, non si possono escludere collaborazioni e accordi occasionali. La proroga del Trattato New Start sulla riduzione delle testate nucleari di Usa e Russia, in scadenza nel febbraio di quest’anno, potrebbe essere il primo esempio.

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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