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Mascherine Ffp2

Perché ci dicevano che le mascherine non servivano?

Il caso e le giravolte sulle mascherine. L'intervento di Francesco Schlitzer, managing partner di Vera

Il tema della prevenzione e della sicurezza delle persone è stato molto spesso sottovalutato nel nostro Paese, a dispetto delle evidenze dei dati, anche a causa del forte pregiudizio nei confronti dell’industria che ruota intorno ai sistemi e dispositivi di protezione.

La questione disattesa delle mascherine per proteggere se stessi e gli altri dal rischio di trasmettere il coronavirus, quindi, non sorprende. E non solo riguardo l’uso della mascherine ma in generale di tutti i dispositivi di protezione individuale, le buone pratiche e le regole di prevenzione; troppo spesso ignorate da noi cittadini e dalla nostra Pubblica Amministrazione. Nel caso — grave — delle mascherine, prima ancora della politica, la stessa comunità medico-scientifica ha ondeggiato su posizioni completamente diverse e con continui cambiamenti di indirizzo. A cominciare dall’Oms e poi via via l’Istituto Superiore di Sanità, la Protezione Civile, fino agli esperti epidemiologici. La comunicazione conseguente è stata disastrosa.

Continuare, quindi, ad affermare che la mascherina serve solo a chi manifesta sintomi per evitare di contagiare gli altri, oggi è evidentemente un grave errore. E la prima ragione è che nel caso del coronavirus esistono i positivi asintomatici, che non sanno né possono sapere di essere contagiati. Fatto che può avere una sola conseguenza: mascherina per tutti. Aggiungo che in ogni caso il principio generale di precauzione avrebbe dovuto suggerire alla comunità scientifica di avere una posizione unica e ferma sull’utilità dei dispositivi di protezione. Proprio perché non si sa cosa si ha di fronte.

Purtroppo la cultura della prevenzione e del rispetto delle buone pratiche in sanità è sempre stata scarsamente considerata anche tra gli addetti ai lavori. Non è un caso che le cosiddette infezioni nosocomiali, cioè quelle prese negli ospedali, costituiscano una delle prime cause di mortalità.

Umberto Veronesi diceva sempre che un buon ospedale e un bravo medico si giudicano da tante cose ma certamente una delle più importanti è la corretta gestione del reparto, e quindi della sua igiene, del rispetto dei comportamenti dell’uso dei dispositivi di protezione.

Ricordo che più di 11 anni fa a Londra, in un ospedale pubblico, rimasi colpito dal fatto che nei corridoi fossero presenti i dispenser con disinfettante per consentire a tutti di lavare frequentemente le mani. Tutti: operatori, pazienti e visitatori. Quei dispenser oggi ci sono anche in Italia, ma non in tutti gli ospedali e in pochissimi ospedali del Sud.

Quando con 3M abbiamo promosso l’introduzione del giubbetto rifrangente nelle auto, vi fu un’associazione dei consumatori che sosteneva che fosse un’inutile gabella addossata ai consumatori. Oggi lo troviamo già in dotazione e viene regolarmente indossato quando si scende dall’auto in panne. E la stessa resistenza la ricevemmo dagli autotrasportatori per rendere visibile la sagoma dei camion. Ci fu quasi una sommossa per il costo. Oggi entrambe le misure sono state adottate anche a livello europeo. L‘Italia per una volta fu la prima e credo che tutti gli automobilisti che viaggiano in autostrada possano apprezzare il fatto che, anche a lunga distanza, si vedano bene le dimensioni del camion davanti.

Non è forse stata utile l’introduzione del seggiolino anti abbandono o delle cinture di sicurezza? E l’Air-bag nelle auto quante persone ha protetto?

Questi dispositivi o tecnologie di protezione individuale, quando dimostrano una efficacia concreta per la salute pubblica devono essere adottati. Occorre smetterla di pensare che servano solo a far fare soldi alle aziende produttrici.

Certo esiste un’industria della sicurezza che fa profitti, come esiste un’industria farmaceutica che produce farmaci e dispositivi. Come esistono tante altre industrie nei più svariati settori. Chiamatele pure lobbies. Ma questo non giustifica l’atteggiamento di scetticismo se non d’ignoranza della Pubblica Amministrazione. In generale, chi amministra la cosa pubblica, dovrebbe avere un’adeguata competenza e sensibilità sia sull’introduzione dei dispositivi e delle tecnologie che soprattutto sulla loro manutenzione. Non bisogna aspettare la pandemia per scoprire l’acqua calda.

Se non avessimo avuto questa mentalità forse oggi avremmo qualche produttore di mascherine anche in Italia e qualche posto di lavoro in più. Ma si sa fino a qualche settimana fa le mascherine non servivano.

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