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Cavour Amato

Perché Cavour va Amato

“C’era una volta Cavour. La potenza della grande politica” di Giuliano Amato (ed. il Mulino) letto da Tullio Fazzolari

C’era una volta un regno piccolo ma capace di tenere testa agli imperi più potenti d’Europa. Sembra l’incipit di una fiaba e invece è la nostra storia. L’Unità d’Italia non sarebbe stata possibile senza il ruolo decisivo del Regno di Sardegna. Ma nemmeno sarebbe stata realizzabile se a Torino come primo ministro non ci fosse stato Camillo Benso conte di Cavour. Che però, nonostante i suoi meriti indiscutibili, sembra essere il meno celebrato tra i quattro padri della patria. Non era un trascinatore d’uomini come Garibaldi né un re guerriero come Vittorio Emanuele II o un grande ideologo come Mazzini. Ma quanto a visione politica e a determinazione nel realizzare i propri obiettivi era insuperabile.

Giuliano Amato con “C’era una volta Cavour. La potenza della grande politica” (il Mulino, 344 pagine, 20 euro) contribuisce a colmare un deficit della storiografia italiana. Fatta eccezione per Rosario Romeo e Luciano Cafagna, ben pochi studiosi hanno approfondito l’importanza del ruolo di Cavour. Non è mancato perfino chi come Denis Mack Smith, senza dubbio maggiormente affascinato da Garibaldi, è arrivato a definirlo un politico abile ma privo di scrupoli. Poiché anche i giudizi avventati restano nero su bianco negli annali e qualcuno finisce per crederci, è essenziale che qualcuno ristabilisca la verità. Giuliano Amato ci riesce perfettamente con un approccio tanto inedito quanto efficace dando la parola allo stesso protagonista. Il libro raccoglie integralmente dieci discorsi di Cavour al parlamento di Torino ed è una scelta tutt’altro che casuale sotto ogni aspetto. A cominciare dalla location. C’è un presidente del Consiglio che si confronta puntualmente con i deputati eletti dal popolo e già questo basta a dimostrare un fortissimo senso delle istituzioni.

Ancor più significativo è il contenuto degli interventi parlamentari selezionati da Amato. I dieci discorsi corrispondono ad altrettanti momenti cruciali del decennio del governo Cavour. Si inizia dai rapporti problematici con la chiesa cattolica quando nel 1850 viene abolito il foro ecclesiastico e successivamente viene istituito il matrimonio civile. Qualche anno dopo Cavour convince il parlamento dell’opportunità di intervenire nella guerra di Crimea e non è un’impresa facile perché ancora brucia la sconfitta di Novara. Ancora più difficile è poi far passare l’annessione alla Francia di Nizza e della Savoia, prezzo da pagare “con animo mesto” per l’alleanza con Napoleone III ma fa indignare  Garibaldi e un po’ anche Vittorio Emanuele II. Dietro ogni discorso c’è un disegno politico che le note introduttive di Giuliano Amato permettono di contestualizzare. Di fatto Cavour è riuscito a tenere una rotta di equilibrio fra le tendenze più radicali e quelle più conservatrici. La morte prematura nel giugno del 1861, a soli cinquantuno anni, interrompe bruscamente un percorso e l’ambizioso progetto di “fare gli italiani” dopo aver “fatto l’Italia”. Mai si potrà stabilire se fossero possibili risultati più clamorosi di quelli raggiunti. Le parole dette in parlamento da Cavour restano un esempio di sano realismo e soprattutto un manuale di grande politica.

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