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Perché aborro i progetti megagalattici su giustizia e ambiente. Il pensiero di Ocone

L’impegno morale di ciascuno si misura nelle relazioni umane non nell’adesione a piani e progetti “megagalattici”. Ed è più efficace, oltre che veramente morale, sensibilizzare con i nostri comportamenti il prossimo a noi più vicino che non genericamente la politica mondiale. “Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista

Chi non vorrebbe un mondo giusto, solidale, libero, pulito? E chi non vorrebbe che fossero trattate con dignità le donne, i gay, gli uomini di ogni razza o cultura?

Lasciamo stare la filosofia, che pure accampa i suoi diritti e ci dice che un mondo pacificato equivarrebbe a un mondo morto o non abitato da uomini di carne viva. E lasciamo pure da parte il valore dell’eguaglianza, che esigerebbe un ragionamento troppo complesso per svolgerlo nelle poche righe di questa rubrica. Fermiamoci alla morale.

L’aspirazione alla giustizia, alla solidarietà, alla libertà, alla sostenibilità ambientale, alla non discriminazione e alla dignità di ognuno, è non solo legittima ma coincide con la positività della coscienza etica di ciascuno. Eppure, detto questo, non ci stancheremo mai di combattere le teorie della giustizia, della solidarietà, della libertà, ambientalistiche, multiculturaliste, che oggi hanno corso fra gli intellettuali à la page il cosiddetto “ceto medio riflessivo”. Perché?

Non c’è forse contraddizione e pregiudizio politico in questa nostra avversione? No, c’è anzi una riflessione che a me pare ponderata e saggia. Provo a spiegarmi utilizzando come esempi, facilmente estensibili, i temi della giustizia e della tutela ambientale.

Semplificando il discorso, direi che è un problema di dimensioni, o meglio di prospettiva. Non è forse vero che noi, quasi senza accorgercene, la giustizia la esercitiamo, o proviamo a farlo, ogni giorno, in vari momenti della nostra vita? Se qualcuno ci chiede un aiuto, se dobbiamo scegliere con chi stare fra due persone in conflitto fra di loro, in una parola se ci troviamo di fronte a un dilemma etico che coinvolge terzi, non possiamo che cercare di essere giusti se siamo ben intenzionati. E lo facciamo spontaneamente, senza avere bisogno di una teoria della giustizia. La quale se ci fosse, e soprattutto se si proponesse di darci anche solo una guida generale per la risoluzione del nostro problema, non potrebbe che portarci su una cattiva strada (la via dell’inferno, come è noto, è lastricata di buone intenzioni). Per un semplice motivo: perché annullerebbe la specificità del caso particolare che stiamo vivendo in quel momento. E che tocca solo a noi risolvere mettendo in campo tutte le nostre energie, nonché l’irriflesso patrimonio di idee che si è sedimentato nella nostra coscienza e che costituisce la nostra personalità.

La lettura di un buon romanzo, intendo di un classico della letteratura (lasciamo stare i contemporanei!), può dare molto più giovamento alla nostra azione di un saggio di filosofia pratica o, come oggi si dice con espressione brutta e sbagliata insieme, di “etica applicata”. La Grande Politica che si propone di risolvere su grande scala i problemi di giustizia, in punta di diritto e anche di fatto (come la storia ci insegna), non può che combinare guai. Il patrimonio di conoscenze pratiche è variamente diffuso infatti fra gli umani, come ci ha insegnato Friedrich von Hayek, e non può essere centralizzato in nessun potere pubblico o intellettuale.

Lo stesso discorso vale per l’ambiente. Come spiegare ai tanti seguaci della strumentalizzata Greta che un piano globale per salvare il nostro pianeta è inutile e velleitario. Non solo perché esso sa da solo come salvarsi, ammesso e non concesso che sia in pericolo (e sicuramente non lo è nei termini catastrofici che ci si vuole far credere). Più sostanzialmente perché il pensare in grande, il costruttivismo progettuale e la macropolitica invasiva propri di certa sinistra globale (mi si perdoni la semplificazione lessicale e concettuale), vera erede della politica novecentesca, sono peggio che inefficaci, possono essere controproducenti e pericolosi (lo stesso Hayek ci ha parlato delle conseguenze non intenzionali di certe nostre azioni intenzionali).

Con questo non si vuole però dire che bisogna buttare le carte per terra, non consumare con accortezza, o distruggere gli spazi verdi a nostra portata. Bisogna amare, al contrario, la natura, e amarla profondamente, ma non in astratto: nel concreto dei nostri piccoli atti quotidiani. Non è solo una questione di civiltà o buone maniere, è anche qualcosa, appunto, di molto più utile alla lunga, e sicuro, delle grandi politiche messe in campo da governi e camaleontiche (e interessate) organizzazioni sovranazionali.

In soldoni, l’impegno morale di ciascuno si misura nelle relazioni umane non nell’adesione a piani e progetti “megagalattici”. Ed è più efficace, oltre che veramente morale, sensibilizzare con i nostri comportamenti il prossimo a noi più vicino che non genericamente la politica mondiale.

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