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Giorgetti

Pensierini cupi in questa domenica delle Palme senza palme

Mette una tristezza infinita questa domenica che delle palme ha conservato solo il nome liturgico

Mette una tristezza infinita questa domenica che delle palme ha conservato solo il nome liturgico, non essendovene materialmente da distribuire davvero ai fedeli: neppure dal Papa, solo come al solito nella desertificata Piazza San Pietro. Non siamo esonerati, né dallo Stato né dalla Chiesa, dall’obbligo di restarcene in casa per risparmiarci e risparmiare contagi.

E’ stupido attendersi dalle varie polizie la chiusura di un occhio, o di entrambi, per evitare una multa per molti superiore a quella dello stipendio mensile o della pensione appena incassata, se cestino non una denuncia penale, se positivi, per epidemia colposa o addirittura l’arresto e l’ergastolo, con processo per direttissima, nel caso in cui l’aggettivo fosse trasformato da un magistrato malintenzionato da colposo a volontario. Qui non si scherza, neppure in un Paese come il nostro, abituato persino tragicamente agli scherzi, e portato a profittare di tutte le occasioni possibili e impossibili per cantarci e ballarci sopra, magari solo su un ballatoio o un terrazzo.

Ma oltre alla tristezza, questa prima domenica delle palme senza palme, la prima e spero l’unica della mia vita non breve di cristiano, al netto dei peccati e peccatucci generosamente perdonatimi ad ogni accenno di confessione, mi mette addosso – lo confesso – la paura di non farcela ad uscire vivo da questa specie di guerra che combatto praticamente disarmato, al pari di tanti altri. Non ho neppure lo straccio di una mascherina a disposizione, anche per non avere nel condominio dove abito cinesi che altrove – a dispetto del nome che si sono fatti col coronavirus e degli insulti che ricevono un giorno sì e l’altro pure dal presidente americano in persona e dai suoi emuli italiani – hanno infilato nelle cassette della posta dei vicini, quasi per scusarsi e redimersi, non una ma buste di mascherine, e delle migliori.

Non bastano tuttavia né la tristezza né la paura di morire e di compromettere la salute e sopravvivenza dei familiari, colpevoli solo di questa familiarità, appunto, a volte neppure voluta, com’è quella dei figli, che non vengono concepiti e non nascono certamente di loro volontà. Sono assalito ogni tanto, a dispetto della fiducia appena rinnovata a Giuseppe Conte sulla sua Repubblica di carta dallo stagionatissimo Eugenio Scalfari, anche da un sentimento di rabbia per l’insipienza che, volenti o nolenti, stanno dimostrando i signori al governo, ma anche all’opposizione, in questo passaggio drammatico della storia nazionale. O storia universale, come il reddito che i grillini hanno colto l’occasione per proporre con uno starnuto pericolosissimo in questi tempi, non essendo evidentemente bastati gli sperperi del reddito di cittadinanza voluto nel loro primo anno di esercizio del potere addirittura per conseguire la sconfitta della povertà. Che fu annunciata con sprezzo del ridicolo dal balcone di Palazzo Chigi una sera del 2018 dall’allora vice presidente del Consiglio, ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio. Vi ricordate? Adesso per fortuna, si fa per dire, egli dispone “solo”, e spero ancora per poco, della Farnesina: una palazzone davanti al quale, quando potevo muovermi liberamente, passavo in auto ogni giorno, o quasi, senza mai scorgervi il ministro su un balcone, o qualcosa che potesse o possa assomigliarvi in quell’architettura littoria del Ministero degli Esteri. Che, pensate un po’, avrebbe dovuto sorgere addirittura dalle parti del Colosseo, su via dei Fori Imperiali. L’avrei tenuto almeno più lontano da casa.

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