La Germania è investita da una doppia crisi. Quella politica, apertasi con le dimissioni del presidente della Cdu Annegret Kramp-Karrenbauer, appena un anno fa deisgnata per il dopo Merkel, e quella economica, testimoniata da una doppietta di dati negativi a distanza di pochi giorni. Prima la diminuzione a dicembre della produzione industriale, -3,5% a livello mensile, poi
il dato della stagnazione nel quarto trimestre dello scorso anno, con la conferma della debole crescita dello 0,6% per l’intero 2019.
Le due crisi si sommano e potrebbero creare una miscela esplosiva per un paese da anni abituato a confrontarsi solo con notizie positive sul versante economico. La crisi politica è in pieno sviluppo e mentre nella Cdu si sta aprendo il confronto per la successione della successione, nella Berlino politica nessuno esclude più l’ipotesi che si possa arrivare anche a una crisi di governo e alla fine anticipata della cancelleria di Angela Merkel.
Sul versante economico le reazioni sono più prudenti, anche se molti analisti non si nascondono più dietro formule attendistiche e osservano la realtà con occhi più critici. I dati congiunturali evidenziano una sorta di resilienza da parte dell’economia tedesca, dal momento che il calo delle esportazioni viene compensato da una robusta domanda interna, forte soprattutto del traino del settore delle costruzioni e accompagnata da una politica fiscale più espansiva. Il consumo privato, che nel terzo quadrimestre aveva registrato un forte aumento, ha perduto anch’esso dinamismo nell’ultimo quarto del 2019, ma resta assieme a quello edilizio il fattore che ha evitato la recessione: secondo quanto riportato dall’Handelsblatt, il consumo privato ha contribuito per il 52% della performance economica tedesca e, a detta degli esperti della società di ricerche di mercato Gfk di Norimberga, dovrebbe mantenere alto il suo contributo anche nel 2020.
Sparge ottimismo (ma è il suo compito) il ministro dell’Economia Peter Altmeier che vede un raggio di sole all’orizzonte di numeri grigi come il cielo invernale di Berlino. “Ci sono piccoli passi, non esattamente veloci, ma la strada va verso l’alto”. Il governo resta convinto delle sue previsioni di crescita: 1,1% per il 2020, 1,3 per il 2021. Cifre più ottimistiche di quelle della Commissione Ue che venerdì ha stimato un +1,1% per entrambi gli anni, che della Confindustria tedesca.
C’è invece unanimità di giudizio fra economisti, analisti e operatori del mondo economico, interpellati nei giorni successivi alla comunicazione dei dati sul Pil dai quotidiani tedeschi. La convergenza appare totale quando si tratta di individuare le cause: guerre commerciali, inquietudini per la Brexit, flessione della domanda estera colpiscono un’economia che prospera sulle esportazioni. La tenuta dei consumi interni ha consentito di contenere i danni, ma il governo non sembra in grado di reagire con politiche appropriate per contrastare l’avvitamento e – come nel caso di Altmeier – sparge ottimismo basandosi su previsioni che negli ultimi tempi non si sono poi avverate.
Jörg Zeuner, capo economista di Union Investment, osserva come “con un debole trimestre finale si sia chiuso un difficile anno congiunturale per la Germania”. Solo la tenuta dei consumi ha evitato il peggio e non si scorge ancora alcun segnale di rapido miglioramento per l’industria, tanto più che la ripresa del commercio internazionale può adesso essere frenata dal coronavirus. “Questo colpirà anche l’export tedesco, seppure temporaneamente, per questo vedo il semaforo congiunturale più sul giallo che sul rosso”, conclude Zeuner.
Per Sebastian Dullien della Hans Böckler Stiftung, la fondazione di studio legata ai sindacati, “l’economia tedesca gira su se stessa ormai da un anno, il Pil del quarto trimestre 2019 si è attestato più o meno allo stesso livello di inizio anno. Per fortuna la recessione che molti paventavano la scorsa estate non si è verificata, ma ci vorrà ancora del tempo prima che l’economia tedesca possa tornare a crescere con forza”. Preoccupa l’anno elettorale negli Usa, che potrebbe spingere Donald Trump a intensificare la guerra commerciale e l’evoluzione del coronavirus che frena l’economia asiatica e penalizza l’export tedesco.
Alcune indicazioni dal mondo delle imprese lasciano intendere che potrebbe esserci una ripresa nel prossimo trimestre, ha proseguito Dullien, ma settori importanti dell’industria tedesca, come quella automobilistica, stanno affrontando grandi sfide e ristrutturazioni. “L’economia tedesca reggerà anche nei prossimi trimestri su costruzioni e consumi privati, senza i quali saremmo già in recessione – conclude l’esperto della Böckler Stiftung – e questo anche grazie alla crescita dei salari degli ultimi anni. Se questa tendenza rallentasse entrerebbero in crisi anche i consumi privati”. La stima di crescita per il prossimo anno della fondazione dei sindacati si attesta intorno all’1%.
Martin Wansleben, direttore esecutivo dell’Associazione delle camere di industria e commercio tedesche (Dihk) ritiene che “nei deboli numeri della crescita si nasconde anche un chiaro ammonimento per l’anno in corso. L’export tedesco così come molti settori chiave dell’industria di questo paese devono ancora combattere con le conseguenze negative dei conflitti commerciali e con quelle ancora incerte della Brexit. E ancora meno valutabili sono gli effetti del coronavirus“. È arrivato il tempo che il governo affronti con coraggio le questioni di politica economica sul tappeto: “Gli imprenditori hanno bisogno di rapidi segnali di alleggerimento nella politica interna, l’accelerazione del piano degli investimenti e la riduzione delle tasse dovrebbero essere catapultate in cima all’agenda di governo”.
Per Nils Jannsen, economista dell’IfW, l’Istituto di ricerca economica di Kiel, “l’economia tedesca annaspa e si trova nel cono d’ombra di una recessione industriale, dovuta alla crisi degli investimenti in infrastrutture e nel commercio internazionale, che non penalizza soltanto le industrie ma sempre più anche i servizi associati alle imprese”. Il recente dato degli ordinativi tedeschi contrattisi a novembre dell’1,3% rispetto al mese precedente (nel confronto su base annua la flessione è risultata del 6,5 per cento) indica che la fase di debolezza dovrebbe proseguire e, anche nel primo trimestre del 2020, il Pil non dovrebbe fare alcun balzo in avanti. Un miglioramento è da attendersi solo nella seconda metà dell’anno, con una ripresa del settore industriale e, di conseguenza, dell’intera economia tedesca. Per l’istituto di Kiel, le ripercussioni del coronavirus saranno più pesanti di quanto in un primo momento immaginato, e penalizzeranno non solo gli sbocchi di mercato dell’industria tedesca ma anche la produzione interna, giacché le aziende fornitrici asiatiche non possono lavorare come preventivato e le catene di approvvigionamento sono interrotte: “Questo potrebbe addirittura spingere in rosso il Pil del primo trimestre”. A ciò si aggiunge la preoccupazione che il presidente americano Trump, una volta chiuso il capitolo della guerra commerciale con la Cina, possa rimettere nel mirino il surplus commerciale europeo e in particolare tedesco, accrescendo insicurezza sui futuri rapporti commerciali con gli Usa e portando a una riduzione degli investimenti”.
Thomas Gitzel, capo economista della VP Bank, aveva già capito tutto dai dati negativi della produzione industriale in dicembre: “Era chiaro che l’economia tedesca non sarebbe cresciuta nell’ultimo trimestre 2019, anzi è una fortuna che non si sia registrato un segno meno”. Anche per lui la situazione, oggi e nei prossimi mesi, è frutto di più cause: guerre commerciali, Brexit, nessun impulso dagli investimenti nelle infrastrutture né dall’export: “Una somma il cui risultato non poteva che essere la stagnazione”. Ma ci sono anche responsabilità interne: gli industriali dell’auto per lungo tempo non hanno preso sul serio l’elettromobilità che prendeva piede negli Usa e oggi si trovano a dover inseguire per recuperare il terreno perduto. Gli anni delle vacche grasse “hanno fatto dimenticare quanto l’economia tedesca fosse vulnerabile”, conclude Gitzel, “ma la Germania è in balìa della congiuntura mondiale”.
Chi invece va controcorrente, almeno per quel che riguarda l’influenza del coronavirus sull’economia tedesca è l’istituto Ifo di Monaco, anche rispetto agli allarmi degli ultimi giorni lanciati dall’Fmi e in Germania dalla stessa IfW di Kiel. Per l’economista Timo Wollmershäuser, responsabile del settore che indaga gli sviluppi congiunturali dell’istituto bavarese, se l’epidemia attuale dovesse svilupparsi anche due volte quella della Sars nel 2003, potrebbe incidere non più dello 0,1% sulla crescita della Germania: “L’epidemia frena i consumi in Cina ma noi esportiamo in fondo pochi beni di consumo in quel paese”. Nonostante questo, conclude Wollmershäuser, la Germania dovrebbe trarre da questa vicenda una lezione: evitare di dipendere troppo da un solo paese per la catena di approvvigionamento.