Le tre o quattro ore di confronto, a Palazzo Chigi, al netto o al lordo della cena conclusiva, fra la padrona di casa e il presidente francese Emmanuel Macron sono bastate e avanzate per i titoli sul “patto”, o sulla “tregua” o sul “chiarimento” intervenuto nei rapporti fra i due Paesi, e governi, dopo le frizioni, a dir poco, delle settimane scorse. Non sono però bastate per ridurre i pregiudizi delle opposizioni politiche e mediatiche alla premier Meloni, riprocessata ieri sera, per esempio, nel salotto televisivo di Lilli Gruber, su la 7, perché troppo “equilibrista” e sfuggita ad una conferenza stampa congiunta con l’ospite.
Non sono mai sufficienti, evidentemente, le prestazioni o esibizioni della presidente del Consiglio italiano sul terreno diplomatico, per quanto intensi siano in questo campo il traffico a Palazzo Chigi e i viaggi all’estero della Meloni. Che ritorna abitualmente “pazza” di fatica, come lei stessa ha avuto occasione di dire di recente nei giardini del Quirinale partecipando alla festa dei 79 anni della Repubblica. E raggiungendo a piedi il giorno dopo la postazione delle autorità per la sfilata militare e civile del 2 giugno.
Nelle iniziative diplomatiche della Meloni -per non parlare della politica interna e, in questi giorni, dei referendum del “battiquorum”, su lavoro e cittadinanza, per le opposizioni che pure li hanno promossi- c’è sempre qualcosa di troppo o troppo poco, secondo i casi.
Eppure il documento congiunto emesso dopo il lungo confronto fra la Meloni e Macron non è stato e non è né banale né reticente. Quel “sostegno incrollabile all’Ucraina” ribadito dopo la polemica diretta e indirettta sul ruolo, finalità e modalità dei vertici, incontri e quant’altro fra i “volenterosi” non è di poco conto. Ma forse quel “sostegno incrollabile” altri avrebbero voluto espresso anche ai palestinesi ostaggi del terrorismo di Hamas, che combatte pervicacemente contro Israele nascondendosi nei sotterranei armatissimi delle case, scuole, ospedale, chiese, strade e piazze della popolazione civile palestinese, allontanata con la forza anche dagli aiuti umanitari.