Il Centro, doverosamente al maiuscolo, dove Matteo Renzi si è collocato nella sua quarta o quinta “vita politica” -lui stesso a 48 anni compiuti ne ha perso il conto in una intervista ad Avvenire– per ora è solo una postazione mobile d’artiglieria. più ricca però di ambizioni, o di obbettivi da colpire, che di munizioni. E gli obbiettivi vanno dall’Europa in Italia e viceversa, anche se la maggiore e insieme più vicina scadenza elettorale è quella europea fra un anno. Durante il quale chissà quante cose potranno accadere e sorprendere anche Renzi, che pure si mostra sicuro del fatto suo, cioè della sua forza o delle debolezze degli altri, tanto sprovveduti da non temerlo, o addirittura da deriderlo, a cominciare naturalmente da quell’ingrato -il più ingrato di tutti- che sarebbe l’ex ministro e socio fondatore del cosiddetto terzo Polo Carlo Calenda. Uno -ha detto Renzi, sempre ad Avvenire– che lascerebbe sempre “le cose a metà”. Ma cui, nonostante questo, egli sarebbe disposto a riaprire le porte se ci ripensasse sulla praticabilità e sulle presunte, grandi prospettive del nuovo progetto politico propostosi dall’ex presidente del Consiglio.
Come già gli è accaduto in passato, in particolare quando ripetette l’errore dei democristiani Amintore Fanfani e Ciriaco De Mita di rivestire il doppio ruolo di segretario di un partito composito come la Dc e presidente del Consiglio, temo -per lui- che Renzi anche stavolta stia cedendo alla tentazione di giocare una partita a scacchi da solo, facendo a meno dell’avversario e sostituendolo nelle mosse. O addirittura fornendogli, cioè fornendosi da solo l’occasione dello scacco matto, come quando personalizzò a tal punto il referendum cosiddetto confermativo della sua pur pregevole riforma costituzionale, che personalmente votai, da appendervisi al pari di un cappio, cioè preannunciando addirittura la sua rinuncia alla politica se fosse stato sconfitto. Poi, a sconfitta puntualmente rimediata, rinunciò solo alla guida del governo conservando quella del Pd nel frattempo spaccatosi, e quindi perdendo poi anche quella.
Anche se continua a parlare di voti e forse anche di qualche parlamentare da sottrarre al suo ex partito grazie al rischio che esso starebbe correndo con Elly Schlein al Nazareno di diventare la sesta stella del movimento grillino, Renzi punta soprattutto non dico a destra, dove sa che Giorgia Meloni è molto meno debole di quanto lui cerchi di far credere, ma all’elettorato di Forza Italia ormai irreparabilmente orfana di Silvio Berlusconi, per quanto ancora finanziata dai suoi eredi.
Appena si distrae dalla concentrazione della partita solitaria e gli scappa di dire o far capire, direttamente o attraverso il mezzo comunicativo a disposizione, quello che veramente pensa e insegue, Renzi tuttavia fa la classica frittata.
Sul “suo” Riformista, messogli a disposizione dall’editore ora anche dell’Unità Alfredo Romeo, non più tardi di giovedì scorso 7 settembre a un tale misterioso Phil impegnato a rappresentare come peggio non si poteva il governo e la maggioranza è scappato di scrivere del “famelico” leghista Matteo Salvini e di “uno alla canna del gas come Antonio Tajani”, vice presidente del Consiglio anche lui, ministro degli Esteri e segretario di transizione congressuale di Forza Italia. Uno che, per carità, non avrà i mezzi e il magnetismo pur calante, negli ultimi tempi, del compianto Berlusconi; uno che la premier non ha sicuramente rafforzato parlandone di recente come di una persona da tenere prudentemente all’oscuro della decisione di tassare i superprofitti bancari, ma che è pur sempre il successore del Cavaliere contro il quale nessuno è ancora riuscito ad organizzare o solo a proporre un’alternativa dentro il partito: né l’insofferente Giorgio Mulè né il compassato Renato Schifani.
Un Tajani liquidato così grossolanamente da Renzi, per giunta dopo essere stato corteggiato, contattato, sondato e quant’altro dietro le quinte sull’ipotesi di una lista comune alle elezioni europee per mettersi entrambi al riparo dalla soglia del 4 per cento per l’accesso al Parlamento europeo da rinnovare l’anno prossimo; un Tajani non così sprovveduto da cadere nella trappola di mettersi un altro generale in casa, secondo dichiarazioni attribuitegli e non smentite, potrebbe riuscire nel miracolo, o comunque nell’imprevisto di fare scattare in Forza Italia l’orgoglio identitario, e non solo l’istinto della conservazione.
Fatte le debite proporzioni, naturalmente, al netto del paradosso addirittura tragico che potrebbe sembrare, Renzi rischia di compiere con Tajani l’errore di Putin con Zelensky. Che grazie alla guerra scatenatagli addosso è stato promosso da un comico prestato alla politica come un Beppe Grillo ucraino ad un campione della sovranità del suo paese, a un leader mondiale, ad un patriota dell’Occidente. E Tajani forse ad un teatro non c’è mai più andato da quando, giovanissimo, ne frequentò uno di dimensioni assai modeste come sede di un circolo monarchico.
Articolo pubblicato sul Dubbio