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Come la stampa ha fatto flop sull’ospedale di Gaza

La lettera di Gregory Alegi, storico e giornalista, docente alla Luiss Guido Carli

Caro direttore,

mi è venuta in mente una strofa di Francesco Guccini, le cui parole hanno scandito la vita della generazione che oggi ha i capelli bianchi, oppure non li ha affatto.

Bisogna saper scegliere in tempo
Non arrivarci per contrarietà
Tu giri adesso con le tette al vento
Io ci giravo già vent’anni fa

A farmela venire in mente è la figuraccia collettiva che ha fatto il giornalismo italiano nel rispondere alla domanda “Chi ha colpito l’ospedale Al-Ahli di Gaza?” senza alcun tentativo di analisi e spirito critico. Nessuna verifica. Nessun controllo. Niente. Neppure quello che si poteva fare con due telefonate. Neppure se l’annuncio delle 500 vittime viene dal ministero della Salute di Gaza (cioè di Hamas, che controlla le istituzioni locali).

Che sia chiaro: con evento accaduto alle 18.59 circa, lunedì sera nessuno aveva in mano dati certi per aprire TG o mandare in stampa prime pagine. Ma proprio questo avrebbe dovuto indurre ad applicare le buone regole del mestiere, evitando di spacciare per certezze ciò che era non era neanche un’ipotesi, ma un’accusa di parte. Come si insegna nelle scuole di giornalismo americane, “se tua mamma dice di volerti bene, fattelo confermare da una fonte indipendente”. Da noi, niente. Nel giro di un paio d’ore, tutto era limpido come l’acqua: era stato Israele.

Metodologicamente e deontologicamente, partendo dalla denuncia della distruzione di un ospedale sarebbe stato più corretto chiedersi cosa in quel momento fosse certo e cosa no. Chiedere a chi convenissero le diverse versioni. Chiedere quali fonti esterne ai social potessero confermarle o smentirle. Dare conto ai lettori dei frutti della verifica in un articolo fattuale e, separatamente, esporre le opinioni in un editoriale.

È su questa base che ieri era già possibile notare come l’alto numero di vittime indicasse un danno superiore a quello di una bomba/missile fuori bersaglio, e come questo portasse a ipotizzare o un attacco deliberato o un errore amplificato da qualcosa. Salvo ai più trinariciuti avversari di Israele, era subito chiaro come per lo Stato ebraico colpire un ospedale fosse un danno d’immagine tanto più grande in quanto alla vigilia della visita del presidente statunitense Joe Biden. Allo stesso modo, persino per Hamas uccidere 500 dei propri per danneggiare Israele era implausibilmente cinico.

Sin da subito, insomma, si poteva scartare l’azione volontaria di Israele, sulla quale in qualche misura hanno puntato quasi tutti.

Passando alla bomba o un razzo fuori bersaglio, bisognava chiedersi cosa si voleva colpire e quanto fosse probabile l’errore. È una questione un po’ tecnica, ma è abbastanza noto come i razzi di Hamas siano di costruzione artigianale, con un tasso di errori e guasti stimato intorno al 30% e lanci di scarsa precisione. Israele usa invece armi di precisione, di buona tecnologia, in grado di  colpire bersagli circoscritti. La probabilità di errore sarebbe dunque stata minore nel secondo caso.

Per quanto riguarda il numero di vittime, 500 sono davvero tante. La strage della stazione di Bologna, per esempio, ne causò 85 (forse 86, secondo altre ricostruzioni). Possibile farle con un solo ordigno? Escluso il lancio di più ordigni (perché si sarebbe ricaduti nell’intenzionalità), bisognava chiedersi se l’ordigno potesse aver colpito un deposito di armi vicino, la riserva di carburante dell’ospedale o qualcos’altro in grado di amplificarne l’effetto.

Troppo complicato? Può darsi, ma la deontologia non impone di dire tutto entro un’ora. Anzi. Prima di andare in TV, ho parlato con alcuni piloti italiani dei reparti cacciabombardieri capire se e come fosse possibile distruggere un ospedale e causare 500 vittime. Per entrambi, sarebbe occorso un attacco organizzato, con molte bombe e quindi molti aerei. Di questi, a caldo, non c’era alcuna segnalazione.

A 36 ore di distanza, la pubblicazione di ulteriori materiali video sta dando ragione agli scettici. Manca il cratere dell’esplosione, sostituito da una buchetta di non più d’un metro di larghezza. Le mura dell’ospedale sono largamente intatte. Nel cortile ci sono auto bruciate, il cui carburante potrebbe aver amplificato l’effetto dell’ordigno o del suo frammento. Ci sono video che mostrano il lancio di razzi di Hamas, con il loro caratteristico fischio. Alcune immagini mostrano addirittura un razzo dalla traiettoria incerta. (Anche in questo caso, i piloti con esperienza di operazioni reali non ha riconosciuto in quelle immagini le traiettorie di bombe reali). Insomma, la responsabilità di Israele non è più così certa, o forse non c’è mai stata.

E i giornali? Fanno marcia indietro, magari su posizioni intermedie, per scoprirsi cauti solo ora che persino Biden ha attribuito il razzo «all’altra squadra», cioè Hamas.

Tutto questo, direttore, per dirti che mi spiace di non essere riuscito a dare subito anche su Startmag una risposta alla domanda sull’ospedale di Gaza.

Lo ammetto: ho dato la precedenza a radio, telegiornali e persino a un thread su X (ex Twitter). Ed è un peccato, perché se ieri avessi trovato un’ora per scrivere ciò che t’invio oggi, Startmag avrebbe potuto aggiungere un’altra medaglia. Se non delle tette al vento, avremmo potuto almeno vantarci di non esserci arrivati per contrarietà.  Merce rara di questi tempi, nei quali ci si schiera a prescindere, o peggio ancora si copia-incolla per fare presto, con più paura di “prendere un buco” che di sbagliare. Salvo stupirsi che le fake news diventino virali e i giornali perdano autorevolezza.

Con la speranza di non dover più commentare sciatterie tanto diffuse o notizie tanto brutte, ti saluto cordialmente.

Gregory Alegi

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