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Opposizioni in cerca di influencer

Antivannacci cercasi. Ma non sono Gino Cecchettin o il contestatore della Scala a poter aiutare le opposizioni. Il commento di Battista Falconi

 

Le sinistre, o per meglio dire le opposizioni (tra Pd e 5 Stelle sono migrati, solo perché non hanno trovato collocazione in maggioranza, soggetti che non possono essere definiti con tale termine) evidenziano un problema, anzi due. Per meglio dire ancora, i problemi sono comuni a tutta la classe politica ma la parte che attualmente governa l’Italia li ha risolti entrambi grazie alla leader in carica.

Giorgia Meloni riesce infatti ad assolvere sia all’esigenza del capo che a quella dell’influencer. Da un lato occorre infatti saper fare politica, elaborare contenuti, progetti, disegni e cercare di tradurli in fatti; dall’altro bisogna assecondare la società ipermediale in cui viviamo. Che il Presidente del Consiglio persegua una strategia non è discutibile: se ne può contestare la linea ma non negare che lei cerchi di imprimerla, l’ambizione non le difetta certo. Per quanto riguarda la popolarità è ancor più chiaro dalle analisi di sondaggi e commenti, ancorché non sempre attendibili, che la famosa luna di miele con gli italiani è lungi dal tramontare e che la capacità del presidente di suscitare emozioni appare intatta.

Guardando alle opposizioni, siamo allo zero quasi assoluto. Sul piano della strategia politica si campa di rendita, cogliendo le occasioni momento per momento. Quella del salario minimo è stata una delle più allettanti, per esempio, ma di solito ci si limita ad attaccare sulla base dei singoli incidenti (treno di Lollobrigida o consulenti di Valditara), mentre l’efficacia delle contestazioni all’azione governativa è molto più debole. Anche per quanto riguarda la comunicazione, le opposizioni non hanno guru, maestri, riferimenti solidi e corrono dietro a quelli che la cronaca pone loro davanti.

Data anche la coabitazione tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein, forzata e con ogni evidenza sgradita a entrambi, dem e pentastellati sono insomma in cerca di un “antivannacci”. Di un personaggio come il generale del best seller 2023, estraneo ai partiti e che funga da riferimento nella società civile, un caterpillar, uno sminatore da mandare avanti nella palude insidiosa in cui tutti si stanno muovendo. Gli ultimi due cooptati nel ruolo sono Gino Cecchettin e Marco Vizzardelli. L’istante warholiano di notorietà del secondo, l’uomo che alla Scala ha gridato “Viva l’Italia antifascista” prima dell’inizio del Don Carlo, pare essersi già concluso, dopo il tentativo di ergerlo a martire per essere stato identificato, come ovvio con chiunque si metta a urlare in un posto dove sono presenti rappresentanti delle istituzioni (lo notava Libero, con il perfido calembour “Pagliacci all’opera).

Il papà di Giulia è invece diventato l’eroe, l’emblema dell’antipatriarca, l’uomo solido forte ma inclusivo, accogliente, empatico e resiliente, per sciorinare gli aggettivi più di moda. Certo è difficile non ammirare la tempra con la quale ha affrontato questa tragedia, che però non basta a salvarlo dal vorticoso tritatutto della multimedialità. Le polemiche sono cominciate sui social, con i leoni da tastiera infastiditi dall’eccessiva compostezza dell’uomo, dalla mancanza di sbavature nel modo in cui elabora il lutto, trasformandolo in un grido di battaglia contro qualunque forma di violenza e discriminazione contro le donne (il legale dell’ingegnere pare intenzionato a querelare). E sono deflagrate sui giornali con l’annuncio della presenza a “Che tempo che fa”, in modo trasversale: dal Giornale al Fatto, dove Selvaggia Lucarelli accusa padre e sorella di Giuli di tradimento della promessa “di non usare i microfoni voraci”.

Sarebbe meglio osservare tutti più silenzio, considerato che poco prima della morte della figlia, che si presume sia il dolore più severo da sopportare nella vita, Cecchettin ha sofferto la scomparsa della moglie. Quando il destino rifila questi scherzi di dubbio gusto, la vita si accanisce e piazza certi uno-due alla bocca dello stomaco, manca il fiato ed è inevitabile aggrapparsi al primo appiglio. Lo può davvero capire solo chi ci passa e vengono alla mente i tre ragazzi morti in un incidente stradale, uno dei quali aveva perso da poco un fratello in circostanze simili.

Invece Luigi Manconi propone “Giulia e Giulio famiglie coraggio” (Cecchettin e Regeni, ovviamente) e la leader democratica ipotizza di replicare il gesto del melomane antifascista in giro per l’Italia, sfruttando la tattica della contestazione al momento istituzionale che però non è nuova, basta ricordare il “Viva Verdi” che si gridava alla Scala per sostenere i moti risorgimentali, e anzi appare stantia, come i blitz ambientalisti a colpi di vernice nei corsi d’acqua o sui monumenti e di interruzioni delle omelie, dove talvolta trovano celebranti consenzienti. Proprio le sorti di Chiesa ed ecologisti ricordano quanto sia illusorio sfruttare le celebrità occasionali, nel momento in cui persino le plurimillenarie sono ormai residuali (Bergoglio, con il massimo rispetto, è il ceo di un’azienda ai limiti del fallimento cui la vicenda dei finanziamenti a Casarini non giova di certo) e il green che pareva prendere il posto della rosseggiante utopia socialista sbiadisce assieme all’icona di Greta: l’esito paradossale della Cop28 attesta qual è la reale situazione.

Le opposizioni però non demordono. Dopo la condanna di Mario Roggero, il gioielliere di Grinzane per il quale La Verità ha organizzato una raccolta fondi, Gramellini ospita il “gioielliere buono”, in una trasmissione peana e monocorde che ha il merito di vanificare definitivamente la scusa del contraddittorio, insopportato da chi non ama il talk show. Restano nel silenzio di fondo mille altre figure meritevoli. A Oslo si consegna il Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, ma la ferocia del regime iraniano contro la libertà e le donne non fa notizia. Chissà perché, anzi: senza alcun perché.

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