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Cop28

Cosa deciderà la Cop28? Ipotesi, scenari e dubbi

Quali potranno essere i possibili esiti della Cop28. L'analisi di Lucian Peppelenbos, Climate & Biodiversity Strategist di Robeco

L’organizzazione della 28° edizione della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) negli Emirati Arabi Uniti ha già sollevato delle perplessità, dal momento che il Paese è il settimo produttore di petrolio al mondo.

Al centro dell’agenda c’è il primo “Global Stocktake”, che mira a fornire la prima valutazione completa dei progressi compiuti nella decarbonizzazione globale dopo la firma dell’Accordo di Parigi nel 2015. Gli altri tre punti chiave da tenere d’occhio sono la creazione di un fondo per il clima per le perdite e i danni, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e l’erogazione di finanziamenti globali per il clima.

Gli Accordi di Parigi mirano a limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi Celsius, e preferibilmente a 1,5 gradi, rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite calcola che il mondo si sta dirigendo verso i 2,4 gradi. Tutti i governi devono affrettare le politiche, ma dato l’attuale panorama politico, è improbabile che si assista a una svolta importante in questo senso. L’Accordo di Parigi stabilisce dei momenti formali, chiamati Global Stocktake, e il primo è previsto per il 2023, seguito da un appuntamento ogni cinque anni. Sono valutate le politiche e gli impegni in atto, i progressi compiuti nella loro attuazione e i prossimi passi necessari. Sulla base di ciò, i governi sono tenuti a incrementare in questo senso le loro politiche. Considerati gli attuali livelli di impegno, stiamo facendo troppo poco per arrivare ben al di sotto dei 2 gradi. Sono soprattutto i Paesi ad alte emissioni come l’India, la Cina e il Canada a dover compiere ulteriori passi. Anche la Russia deve fare di più. C’è poi la questione dell’effettivo rispetto degli impegni esistenti. I Paesi industrializzati, tra cui l’UE e gli Stati Uniti, hanno fissato dei buoni obiettivi, ma non siamo sulla buona strada per raggiungerli. Quindi, è necessario un maggiore impegno da parte di tutti.

Good COP: se riuscissimo a migliorare del 10% i 2,4 gradi e a scendere a 2,2 gradi, sarebbe un buon passo per mantenere vivo il processo di riduzione.
Bad COP: il rancore geopolitico continua e gli stati non si impegnano a ridurre ulteriormente le emissioni.

Il fondo globale per le perdite e i danni mira a creare un fondo globale che aiuti i Paesi che soffrono di danni legati alle condizioni meteorologiche, come inondazioni, incendi boschivi o siccità. I Paesi in via di sviluppo vogliono che i Paesi sviluppati che storicamente hanno generato la maggior parte delle emissioni paghino anche per i danni. Questo è stato il grande risultato della COP27. Il cambiamento climatico sta diventando sempre più concreto; l’anno scorso, un terzo del Pakistan è stato inondato solo poche settimane prima dello svolgimento della COP. Fino a un mese fa, il comitato di 24 Paesi che si occupava della questione non aveva raggiunto alcun livello di accordo – ma poi c’è stata una riunione straordinaria all’inizio di novembre in cui si è giunti a un’intesa, anche se senza gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti insistono sul fatto che qualsiasi contributo debba essere volontario, e questo è ancora il punto critico. Ci sono forti tensioni su chi pagherà il conto. I Paesi industrializzati vogliono che Paesi come la Cina e l’Arabia Saudita contribuiscano. All’Arabia Saudita è stato detto che se potete pagare centinaia di milioni per far entrare Cristiano Ronaldo nel vostro campionato di calcio, allora potete anche contribuire a questo fondo.

Good COP: l’accordo tra le 24 nazioni sulla creazione del fondo viene ratificato dai 199 Paesi presenti al vertice.
Bad COP: l’assenza di un accordo impedirà progressi significativi su tutti i punti dell’agenda.

Per ironia, l’Accordo di Parigi non menziona i combustibili fossili, anche se la combustione di carbone, petrolio e gas è la causa principale del riscaldamento globale, il che ne fa il proverbiale “elefante nella stanza”. Tuttavia, l’ironia può essere una buona cosa, dato che il vertice si svolge nel cuore della produzione petrolifera globale. Questa potrebbe rivelarsi la sorpresa della COP28, in quanto se può esserci un mediatore per un accordo sarà un insider. Il vertice è presieduto da Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi, che ha tutte le carte in regola per portare al tavolo i principali decision-maker. I padroni di casa hanno convocato colloqui con i Paesi e le aziende per giungere a una dichiarazione sull’eliminazione graduale delle emissioni derivanti dall’uso dei combustibili fossili. Sebbene non sia altrettanto positiva quanto l’obiettivo di eliminare gradualmente la produzione di combustibili fossili, tale dichiarazione sarebbe già di per sé storica, poiché inserisce i combustibili fossili nel linguaggio dell’Accordo di Parigi. Due anni fa, a Glasgow, hanno cercato di inserire i combustibili fossili nel testo degli accordi della COP26, ma non è stato possibile. C’è un’opposizione proveniente da tanti angoli diversi, visti gli interessi acquisiti, ma questa potrebbe comunque diventare la grande sorpresa della COP28.

Good COP: anche se un qualsiasi accordo firmato quest’anno risultasse poco ambizioso, sarebbe comunque un passo storico averne uno.
Bad COP: Lasciare che “l’elefante nella stanza” vaghi libero per un altro anno.

Oltre alle perdite e ai danni, l’Accordo di Parigi prevede anche un sostegno finanziario da parte dei Paesi ricchi per sostenere la mitigazione e l’adattamento nei Paesi in via di sviluppo. Il problema è che le promesse non sono state soddisfatte con denaro contante. I Paesi sviluppati si sono impegnati a stanziare 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo a mitigare i cambiamenti climatici e 40 miliardi di dollari all’anno per adattarsi ai cambiamenti climatici. Sebbene la raccolta di fondi sia migliorata significativamente negli ultimi anni, il denaro non arriva ancora a sufficienza. La capacità di erogazione è una sfida, ed è qui che il ruolo della Banca Mondiale e di altre istituzioni finanziarie multilaterali è stato pesantemente criticato. Quest’anno la Banca Mondiale ha un nuovo presidente, e si può osservare che sta avviando il processo di riforma. Questo è un aspetto piuttosto positivo. La grande sfida è che anche con questi 140 miliardi di dollari c’è ancora un enorme divario solo per l’adattamento. I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di circa 380 miliardi di dollari all’anno per l’adattamento, mentre per la mitigazione si parla di migliaia di miliardi. Gran parte del problema è che i Paesi in cui l’aiuto è più necessario sono quelli che presentano i maggiori rischi macroeconomici. L’Africa subsahariana, per esempio, è un’ottima area per installare pannelli solari, ma i Paesi della regione sono instabili e questo ostacola gli investimenti.

Good COP: Definizione di accordi operativi davvero concreti per sbloccare i finanziamenti per il clima e riformare le istituzioni competenti.
Bad COP: Altre chiacchiere e nessuna azione.

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