Stati Uniti e Regno Unito hanno condotto 73 attacchi aerei contro postazioni, infrastrutture e facilities di vario tipo riconducibili alle milizie yemenite degli Houthi . Un passaggio che segna, quindi, un nuovo step escalatorio nelle dinamiche regionali in senso stretto e nell’economia del confronto asimmetrico tra le potenze dell’area MENA.
Gli strikes aerei anglo-americani sono stati infatti una risposta diretta alla lunga serie di attacchi Houthi (27 dagli inizi di novembre) contro navi e imbarcazioni civili (mercantili e container) che attraversavano lo Stretto di Bab al-Mandeb, nel Mar Rosso, come rappresaglia per l’invasione israeliana di Gaza.
L’iniziativa di Washington e Londra ha di fatto degradato in buona parte la capacità operativa e militare delle milizie yemenite, ma è innegabile che tutto ciò non comporterà una riduzione in toto della portata della minaccia rappresentata, né il rischio di un riproporsi di medesime condizioni in un prossimo futuro.
Inoltre, gli strikes di USA e Regno Unito hanno contribuito ad ampliare la portata geografica del conflitto regionale oltre lo scenario principale di Gaza, rendendo la situazione ancora più sensibile a prossimi allargamenti e minacce. Altresì, tale condizione ha rappresentato un fattore di novità per tutti gli attori coinvolti più o meno direttamente nella dinamica militare, favorendo di fatto un cambio di passo favorevole soprattutto per Houthi e Israele. Una dinamica, infatti, che ben si adatta agli Houthi, in quanto permette loro di agire con un doppio cappello (di dialogo e di offesa) usando il consueto strumento del “bastone” (attacchi militari ora ad ampio raggio) e della “carota” (volontà di portare avanti il dialogo nazionale in Yemen). Quindi, sfruttare la causa palestinese in maniera funzionale per giustificare gli attacchi al commercio marittimo globale, condizionandone le capacità strategiche, ed esercitare nuove e più pressioni multilivello nei confronti di Stati Uniti e Arabia Saudita – attori coinvolti nelle dinamiche yemenite.
Quindi, lo sforzo degli Houthi di inserirsi nel conflitto di Gaza è finalizzato a rafforzare la sua base di consenso domestica e ad arginare le opposizioni interne (governo lealista di Aden) e straniere (USA e Arabia Saudita), cementando al contempo il posizionamento e lo status regionale del movimento nel cosiddetto “asse di resistenza” a guida iraniana, di cui fanno parte anche Hezbollah e Hamas.
Proprio Teheran, rimasta essenzialmente ai margini del conflitto tra Israele e Hamas, ha mantenuto un ruolo ambivalente di pressione e di apertura al dialogo, benché continui a professare un disinteresse a non farsi coinvolgere in una guerra dal potenziale regionale. Tuttavia, l’attivazione dello scenario yemenita – nel quale comunque il ruolo iraniano rimane per lo più convergente con l’agenda degli Houthi e in funzione anti-saudita – e, soprattutto, di quello libanese – specie nel caso in cui Hezbollah dovesse essere trascinata nello scontro Israele –, avrebbe effetti non definiti ma più esasperanti, nei quali sarebbe inverosimile però immaginare il mantenimento della strategia ambigua e opaca come quella fino ad oggi approntata da Teheran.
Un medesimo dilemma strategico che costringerebbe di fatto anche gli Stati Uniti ad alzare il livello di impegno , nonostante sia la campagna presidenziale per le elezioni di novembre 2024 sia già partita con troppe incognite e preoccupazioni per l’Amministrazione Biden, sia la scarsa volontà di Washington di trovarsi esposta su più fronti militari contrapposti e contemporanei (l’Ucraina e non si deve mai minimizzare i rischi di una possibile crisi a Taiwan). Uno scenario simile quindi controproducente per gli stessi Stati Uniti, i quali favorirebbero non solo la propaganda regionale e internazionale di Iran-Russia-Cina, ma andrebbe ad intaccare anche la popolarità – già bassa – della Casa Bianca nei Paesi arabi.
Pertanto, il netto incremento di tensioni regionali e l’ampliamento – almeno geografico – dello scenario di crisi oltre il contesto palestinese, comporterà un chiaro cambio di passo tra tutti gli attori coinvolti, con il rischio di aprire però una partita al buio . Il pericolo, dunque, non risiederà solo nelle conseguenze già evidenti sul commercio internazionale, ma sulle minacce sempre più asimmetriche alle sicurezze nazionali e, più in generale, alla instabilità mediorientale.
(Estratto di un articolo pubblicato sul CeSI; qui la versione integrale)