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Olimpiadi: le vittorie dell’Italia, i fallimenti di Virginia Raggi

Speriamo che il sindaco di Roma, Virginia Raggi, possa provare un misto di rabbia e di vergogna per quel suo gesto di viltà sulle Olimpiadi a Roma. Il commento di Gianfranco Polillo

Speriamo che il sindaco di Roma, Virginia Raggi, possa provare un misto di rabbia e di vergogna. Rabbia per gli errori commessi contro la sua città ed il suo Paese. Vergogna per quel gesto di viltà. Di fronte ad una sfida impegnativa, quale poteva essere l’organizzazione delle Olimpiadi a Roma, passò semplicemente la mano, non prima tuttavia di aver umiliato Giovanni Malagò, costringendolo ad una poco dignitosa attesa, mentre lei, la Sindaca, faceva colazione in un piccolo ristorante, a due passi del luogo dell’appuntamento, con i suoi più stretti collaboratori.

Fosse stato per Dante Alighieri oggi sarebbe collocata nel canto terzo dell’inferno, nella schiera degli ignavi ed a fianco di “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Avendo consegnato la palma del successo a Tokyo dopo averla sottratta alla a “la grande bellezza”. E quindi all’Italia. Un’Italia che vince, tra le grandi simpatie internazionali, comprese quelle degli inglesi, costretti ad ammettere, seppure a denti stretti, “not Italy again”, dopo la splendida vittoria per la staffetta ed all’indomani del successo nel campionato di calcio europeo.

Le prestazioni degli atleti azzurri ripagano Malagó dalle sofferenze che gli furono inflitte. “Le Olimpiadi più belle di sempre”, come egli stesso ha avuto modo di dire, mentre le principali cariche dello Stato, da Sergio Mattarella a Mario Draghi, si congratulavano con lui e con gli artefici delle diverse vittorie.

In questa grande festa dello sport poteva quindi esserci anche una grande festa della Capitale e dell’Italia, come paese ospitante, invece di essere costretti a rivolgere gli occhi così lontano. Verso il Giappone. Avrebbe dato luogo ad una congiuntura quasi magica, tenendo conto degli altri elementi positivi. A partire dai dati economici del primo semestre che vede, per la prima volta dopo molti anni, l’Italia in testa ai Paesi europei per tasso di crescita economica.

E poi le figure eccellenti, che primeggiano tanto nello sport, come Roberto Mancini, come nelle istituzioni, come Mario Draghi. Unico leader europeo in grado di ipotecare un futuro, di fronte al vuoto politico che si sta determinando in Germania, con l’abbandono di Angela Merkel e le non poche difficoltà di Emmanuel Macron, alle prese con elezioni dall’esito quanto mai incerto. Roma da questa congiuntura astrale poteva ricevere, come nel 1960, un impulso straordinario. Che le consentisse, come del resto accadde allora, di superare d’un balzo le sue storiche debolezze.

Naturalmente nessun pasto gratis. Nel decidere di candidare Roma qualche rischio si correva. Gestire i lavori necessari per accogliere una kermesse di quella portata avrebbe richiesto una grande vigilanza: sia per evitare interventi distruttivi in un habitat urbanistico così fragile, come quello della Capitale, sia per neutralizzare possibili tentativi di malversazione. Ma proprio questo é il compito della politica e dell’amministrazione. Altrimenti che ci stanno a fare.

Ed invece Virginia Raggi ha deciso fin dall’inizio di non giocare la partita. Meglio non esporsi, per non mostrare al mondo le proprie debolezze. Non solo le sue, per la verità, ma quelle di una macchina amministrativa, come quella del Comune, che va avanti per forza d’inerzia, senza che nessuno della Giunta sia in grado di indirizzarla nella giusta direzione. Lo dimostra l’ultimo scandaloso episodio dei 36 milioni elargiti, come premio di produttività, ai dipendenti per meriti conquistati nel campo dei trasporti e dei rifiuti.

C’é solo poco da aggiungere, se non il rifarsi alla filosofia dell’”uno vale uno”, quale chiave per comprendere il perché di un atteggiamento altrimenti incomprensibile. Vincere qualche gara, come indicava qualche giorno fa il Fatto quotidiano, serve a nulla. Come serviva a nulla candidare Roma alle Olimpiadi, poi sbarcate a Tokyo. Ciò che conta é solo la mediocrità, che poi altro non é che la figlia del tirare a campare. L’unica vera virtù degli ignavi. Che secondo il sommo poeta non sono ovviamente degni del paradiso, ma lo stesso inferno li respinge.

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