Segnatevi questi nomi, perché potrebbero entrare nella storia. Il principe saudita Mohammed bin Salman, il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il Presidente Usa Joe Biden stanno conducendo trattative non più così segrete in vista di un grande patto che disegna un nuovo Medio Oriente in cui dialogo politico e cooperazione economica metteranno a tacere gli antichi odi. Ma sarà davvero così? Ecco cosa scrive l’Economist in un approfondimento uscito nell’ultimo numero.
Accordo in fieri?
Si moltiplicano, scrive il settimanale britannico, i segnali diretti e indiretti di un accordo in fieri tra due Paesi ex nemici come Arabia Saudita e Israele.
In una rara intervista televisiva andata in onda lo scorso 20 settembre, il primo ministro saudita nonché erede al trono Mohammed bin Salman (Mbs) ha riconosciuto che un’intesa è alle porte: “ogni giorno ci avviciniamo di più. Sembra che per la prima volta sia vero, serio” ha dichiarato.
Due giorni dopo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato che le due nazioni sono prossime a un accordo che, ha sottolineato, rappresenterebbe “un salto quantico” verso un nuovo Medio Oriente.
Marcia di avvicinamento
È da tempo che procede la marcia di avvicinamento. Sebbene nessuno lo abbia confermato, pare proprio che Mbs e Netanyahu si siano incontrati almeno una volta. Ad avvicinare i due Paesi è, tra le altre cose, il nemico comune iraniano, minaccia strategica per entrambi.
È anche per questo motivo che nel 2020, quando furono firmati i primi accordi di Abramo che hanno portato alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e alcuni paesi arabi, furono in molti a pensare che fosse arrivato il momento del disgelo tra Gerusalemme e Riad.
Così non è stato, anche se oggi gli incentivi per un accordo sono ancora maggiori. Con esso i sauditi otterrebbero ciò che più desiderano, ossia forgiare una nuova alleanza strategica con quegli Usa accusati di disimpegnarsi dalla regione e di tendere all’appeasement con gli ayatollah.
Lo spettro del nucleare iraniano spinge così il regno a cercare un vero e proprio patto di difesa con l’America formalizzato e sigillato.
Nucleare saudita?
Già si vocifera che Washington, in vista di questo patto, voglia venire incontro ai sauditi autorizzando questi ultimi a sviluppare un programma nucleare anche se, come ha rivelato il Wall Street Journal, con impianti gestiti dagli americani su suolo saudita.
Sebbene il programma sarebbe solo per scopi civili, la clausola non scritta è che, se l’Iran si doterà della bomba, il Regno farà altrettanto. Come Mbs ha ammesso nella giù citata intervista televisiva, “se loro ne ottengono una, noi dobbiamo averne una”.
Effetti sulla campagna elettorale Usa 2024
Una nuova architettura della sicurezza in Medio Oriente in cui Arabia Saudita e Israele collaborano da partner e gli Usa fungono da garante esterno sarebbe per Joe Biden uno straordinario risultato da sbandierare nella stagione elettorale che si è ormai aperta in America.
E sarebbe proprio un bel paradosso per un presidente che nella precedente campagna elettorale aveva promesso di trattare i sauditi “da paria quali sono” a causa del brutale omicidio del giornalista e dissidente Jamal Khashoggi ordinato, a quanto pare, da Mbs.
Ma il clamore per quel fatto di sangue ha ormai lasciato il posto a una Realpolitik che indica come meta a portata di mano un grande patto con cui gli Usa, incatenando a sé per i decenni avvenire i Paesi del Medio Oriente, otterrebbero tre risultati: prevenire una della regione caduta nella sfera d’influenza cinese, calmare i mercati dell’energia ed esercitare la massima deterrenza nei confronti dell’Iran.
E i palestinesi?
Ma prima di urlare bingo, avverte l’Economist, bisogna considerare alcuni ostacoli. Nonostante si tratti di una monarchia assoluta, anche l’Arabia Saudita deve tener conto di un’opinione pubblica in cui solo il 2% delle fasce giovanili si dice a favore della normalizzazione delle relazioni con Israele, contro rispettivamente il 75 e il 73% di quelle di due Paesi che riconoscono già lo Stato ebraico come Emirati Arabi Uniti ed Egitto.
È anche per questo motivo che i sauditi hanno ripreso a battere con insistenza l’antico tasto della questione palestinese. Negli ultimi mesi, segnala la rivista, alcuni funzionari palestinesi hanno fatto la spola con la capitale saudita con cadenza quasi settimanale, a segnalare il rinnovato interesse saudita per una causa che fa ancora battere i cuori arabi.
Tuttavia nell’intervista televisiva Mbs non ha menzionato il piano di pace saudita del 2002 che prevedeva l’istituzione di uno Stato palestinese con tutti i corollari, ma ha fatto solo vaghi riferimenti alla necessità di assicurare “una buona vita” al popolo palestinese.
Il vincolo interno di Netanyahu
La vaghezza di Mbs si spiega, secondo l’Economist, con i vincoli interni di Netanyahu, leader di una coalizione che include quei partiti religiosi dei coloni ebrei della West Bank che sono contrari a qualsiasi concessione ai Palestinesi.
Anche il Presidente palestinese Abbas sembra aver capito che i sauditi non spingeranno più per la costituzione di uno Stato palestinese quale precondizione per il riconoscimento di Israele.
Visto l’oltranzismo dei coloni e dei loro potenti rappresentanti di cui Netanyahu è di fatto ostaggio, l’unico obiettivo davvero a portata di mano è fermare ogni nuovo insediamento e strappare maggiore autonomia per la Cisgiordania.
L’opportunità
Ma siccome anche questo modesto progresso rischia di far saltare la maggioranza su cui poggia il governo Netanyahu, ecco profilarsi la succulenta contropartita di un accordo storico con l’Arabia Saudita che convincerebbe i partiti centristi finora rifiutatisi di entrare nell’esecutivo a unirsi a Bibi.
Un nuovo Medio Oriente
Gli astri insomma sembrano allinearsi e la prospettiva di un rinascimento mediorientale che archivi i passati odi per schiudere le porte a una nuova stagione di dialogo e cooperazione non è mai stata così concreta come oggi.