Tra le novità indotte dal riscaldamento globale, sono rilevanti le trasformazioni che riguardano l’Artico: sia la possibilità di sfruttare le enormi risorse diventate accessibili in quest’area sia quella di aprire nuove rotte marittime che modificano consolidati equilibri globali.
Le nuove condizioni dell’Artico hanno visto subito mobilitarsi una potenza ben presente nell’area come la Russia con i suoi istinti tardo imperialistici e la dipendenza oggi quasi strutturale da una Cina che cerca di esercitare un’egemonia in ogni area del mondo come via per stabilizzare un’economia non ben equilibrata. Insieme è cresciuta l’iniziativa di un arco di Stati europei collocati intorno e nei pressi all’area artica. Sin dal 2017 l’Olanda, ai margini dei vertici di Bruxelles, ha iniziato a organizzare incontri tra i ministri delle Finanze di Danimarca, Finlandia, Svezia, Irlanda, Estonia, Lettonia e Lituania, arrivando nel 2020 a costituire una nuova Lega anseatica (nome evocativo della grande alleanza medioevale tra città e città-stato che bordeggiavano il mar Baltico e avevano una forte proiezione mercantile) che ha come principale obiettivo coordinare l’iniziativa verso l’Artico.
La scelta nasce anche da un’insoddisfazione per la politica verso l’Est della Germania, a lungo punto di riferimento degli stati europei citati, e insieme dalla necessità di recuperare rapporti con la Gran Bretagna del dopo Brexit, potenza di collegamento essenziale con gli Stati Uniti e decisiva per contrastare russi e cinesi. In questi ultimi mesi sono cresciute, poi, anche le tensioni (innanzi tutto per scelte unilaterali tedesche) tra Berlino e una Varsavia che con il ritorno Donald Tusk sembrava essere l’alleato perfetto della Germania. E così anche la Polonia di fatto si è coordinata con i neoanseatici, dando vita a un polo che pesa ormai come le grandi nazioni europee.
C’è chi ritiene che il nuovo polo anseatico sarà in naturale competizione con gli stati mediterranei dell’Unione europea per il primato sulle vie di comunicazione. In realtà la coalizione cresciuta nel Nord Europa è guidata da una nazione tra le più sofisticate in politica estera, l’Olanda, ben consapevole delle complessità strategiche della prossima fase internazionale e quindi tesa a organizzare il più grande schieramento possibile anche per contenere gli sbandamenti da crisi politica francese e tedesca, e le radicalizzazioni spesso filocinesi della Spagna, e sa che questo obiettivo di accumulare tutta la forza necessaria per attraversare i prossimi passaggi di assestamento degli equilibri globali ha il massimo bisogno del Mediterraneo. Certo pesano differenziazioni antropologiche accumulate dalla storia a partire dalla Riforma protestante, ma passano in secondo piano rispetto alle urgenze del momento.
Questo contesto spiega perché Mark Rutte, già premier olandese, ora segretario della Nato, di fatto leader dei neoanseatici, nei giorni delle presidenziali americane abbia incontrato innanzitutto Giorgia Meloni.