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Draghi Berlusconi Quirinale

Noterelle su Draghi, Berlusconi e il Quirinale

Il Bloc Notes di Michele Magno

 

Nel 1948 lo storico Luigi Salvatorelli, commentando la candidatura di Luigi Einaudi al Quirinale, scriveva: “Ci riferiamo al criterio, messo davanti con insistenza quasi pregiudiziale, che il Presidente dovesse essere scelto all’unanimità, o almeno a grande maggioranza. C’è in tale criterio un nucleo sano: il desiderio che il Capo dello Stato sia persona di largo e sicuro prestigio, al di là delle divisioni di parte. Sarebbe però errato e pericoloso il pretendere che la [sua] elezione equivalga a una specie di ‘embrassons-nous’ che confonda tutti i partiti […], all’infuori di ogni distinzione e contrapposizione politica. In regime democratico parlamentare la scelta del Capo dello Stato non può non presentare una rispondenza al volere della maggioranza elettorale e parlamentare […]. Ove invece il criterio della larghissima maggioranza per l’elezione del Presidente della Repubblica sia portato agli estremi, esso può ipso facto rovesciarsi nelle mani dei suoi incauti sostenitori, convertirsi in veto posto dalla minoranza, o dalle minoranze, ai voleri della maggioranza del Parlamento e del popolo sovrano” (La Stampa, 12 maggio).

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Un lungimirante Sergio Mattarella ci ha regalato Mario Draghi. Teniamocelo quindi stretto per almeno altri sette anni. Non si tratta semplicemente di avere solide garanzie sul buon uso di risorse mai avute finora. Nel dopo Merkel, con Macron in bilico e con il Regno Unito fuori dall’Ue, solo con una personalità con il suo prestigio l’Italia può ambire a una posizione centrale in Europa. Un plusvalore necessario per dare forza e credibilità a una non effimera stagione di riforme economiche, sociali e istituzionali. Dopo, a nazione risanata, la sinistra potrà far meglio valere le sue istanze egualitarie. Del resto, è legge storica: non c’è redistribuzione senza, prima, accumulazione della ricchezza. La Spd oggi guida la Germania con i liberali e i verdi. Un modello di alleanze a cui il Pd dovrebbe guardare con attenzione, lasciando gli ulivi là dove stanno, nelle nostre belle colline.

Beninteso, questo modello non è dietro l’angolo. Va costruito con pazienza e a piccoli passi. Qui entra in gioco il ruolo del partito di Berlusconi nella costruzione di un polo laico, non insensibile alle migliori tradizioni della cultura riformista e ambientalista. Quante frecce ha nel suo arco il Cavaliere ragionevole che dispensa lezioni di realismo e moderazione? I cancelli della sua villa sull’Appia che si sono aperti per accogliere Salvini e Meloni ricordano il rigido inverno del 1077, allorquando l’imperatore Enrico IV attese per tre giorni e tre notti, scalzo e vestito solo di un saio, prima di essere ricevuto e perdonato dal Papa Gregorio VII, con l’intercessione di Matilde di Canossa. Una rivincita clamorosa del vecchio leader sui suoi amici rissosi e irriconoscenti.

Sia chiaro, la promessa (da marinaio?) del loro sostegno per il Quirinale non ripaga certo Berlusconi delle umiliazioni subite, poiché si tratta di una investitura solo simbolica che serve più come un risarcimento d’immagine che a tirare davvero la volata verso il Colle. Forse, più che tagliarne il traguardo, gli interessa essere decisivo per l’elezione del successore di Mattarella. In ogni caso, la domanda è: per quale prospettiva politica intende utilizzare il suo rinnovato potere d’interdizione? I ministri Carfagna, Gelmini e Brunetta chiedono di trasformare la sua creatura in una autonoma formazione della destra liberale, superando così la forma del partito-azienda o personale. L’altra strada è quella di adattarsi a un ruolo gregario nella destra sovranista, magari per limitarne le esuberanze contro Bruxelles.

Tuttavia, se è vero che per certi versi il bipolarismo è una invenzione berlusconiana, adesso esso appare esangue. Nell’ultimo decennio tutti gli esecutivi sono sorti da alchimie parlamentari. Tanto vale allora restituire lo scettro al principe, e cioè affidare al sistema proporzionale l’assegnazione dei seggi e a una trasparente contrattazione post-voto la formazione dei governi. Quello che Berlusconi deve stabilire è se conti di più come partner minoritario di una coalizione in cui le destre radicali dettano l’agenda, e quindi battersi per lo scrutinio maggioritario, oppure come partito che negozia autonomamente nelle Camere, pienamente legittimato a definire maggioranze variabili, e allora insistere per un selettivo dispositivo proporzionale. Come ha scritto Michele Prospero (Il Riformista), nel secondo caso il futuro di Forza Italia come partito che muta pelle per durare oltre il capo-fondatore potrebbe somigliare molto a quello dei liberali tedeschi che, grazie al metodo proporzionale, dispongono di una ampia libertà di manovra tra i democristiani e i socialisti.

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La nozione di miracolo rimanda principalmente all’idea di prodigio, a cui si collega la meraviglia di fronte all’intervento del divino nella natura, nella realtà, nella storia. È in questo senso religioso che parliamo, ad esempio, di “miracolo della vita”. Parliamo di “miracolo della scienza e della tecnica”, invece, per esprimere il nostro stupore di fronte all’intelligenza umana che ha reso possibile scoperte e opere portentose. È proprio in questo senso, inoltre, che potremmo parlare a buon diritto di “miracolo della politica” ove Mario Draghi salisse al Colle, per manifestare tutta la nostra sorpresa di fronte all’imprevista saggezza di Salvini, Berlusconi, Letta e Conte.

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Per la logica classica, ciò che non è vero è falso, e ciò che è falso non è vero. In realtà, il campo del non vero è piuttosto vasto, vago e multiforme. Infatti, esistono molti modi di mentire. C’è la menzogna semplice (dire semplicemente il falso); la metamenzogna (dire che non si è detto ciò che si è detto); la premenzogna (che prepara le condizioni perché future menzogne siano ritenute vere); la menzogna senza menzogna (dire un vero parziale, che lascia intendere il falso). Ebbene, ci sono dibattiti televisivi in cui certi filosofi, politici, intellettuali, opinionisti, con i loro giochi linguistici sui dati della pandemia e sulla presunta dittatura sanitaria, dimostrano che si può tranquillamente fare a meno della conoscenza del vero (corrispondenza tra discorso e realtà delle cose). A decidere è solo l’arte della retorica o, meglio, di inventarsi minchiate. Del resto, la verità non ha ormai più alcun senso da quando la menzogna è così a buon mercato.

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“Se pensate che l’istruzione sia costosa, provate con l’ignoranza” (Derek Bok, presidente della Harvard University). Tra i no vax, sono in molti a provarci.

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Ieri: “Non sono comunista, non me lo posso permettere” (Ennio Flaiano)

Oggi: “Più abitano in centro, più votano a sinistra”.

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