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Javier Milei

Non solo Covid-19. Tutte le grane di Bolsonaro in Brasile

Che cosa succede nel Brasile governato da Bolsonaro? L’approfondimento di Livio Zanotti, autore del “ildiavolononmuoremai.it”

 

Se non suonasse eccessivo il suo interesse per un personaggio d’illimitata stravaganza come Jair Bolsonaro, ci sarebbe da ripetere l’antica esclamazione: Dio acceca coloro che vuole perdere! Lui, comunque, non sembra preoccuparsene affatto. Al contrario, non pienamente soddisfatto di saluti e abbracci quotidiani con passanti e clienti di supermercati in pieno dramma pandemico, gettando nella più profonda costernazione anche i suoi consiglieri sanitari, è intervenuto a un comizio abbastanza affollato di seguaci in cui si è inneggiato con insistenza al colpo di stato militare. Contro il suo governo, nominato da lui stesso solo 16 mesi addietro. E nel disagio del tutto manifesto dei non pochi esponenti delle forze armate chiamati a parteciparvi, con alla testa il generale Hamilton Mourau, vicepresidente della Repubblica. L’ex capo dello stato Fernando Henrique Cardoso denuncia uno stato di allarmante eccezionalità.

Ora lo ha abbandonato il suo ministro-stella, il responsabile della Giustizia, Sergio Moro, 39, quello che ha perseguito e condannato l’ex presidente Lula da Silva. E aveva assunto l’incarico con l’aura del salvatore del paese dalla corruzione che da decenni lo contamina, a cominciare dal sistema politico ereditato da vent’anni (1964-1983) di dittatura militare; e deflagrato nel gigantesco scandalo lava jato, creato dall’azione corruttiva dell’impresa Odebrecht nell’intera America Latina. Per trovarsi dopo appena qualche settimana a dover gestire una serie di accuse per malversazione al maggiore dei figli del capo dello stato, Flavio, eletto senatore. Una posizione insostenibile, tra richieste di complicità da una parte e accuse di connivenza dall’altra. Il licenziamento del capo della polizia, uno dei suoi uomini di fiducia, ha reso inevitabili le dimissioni del ministro.

Le aveva già minacciate pubblicamente, forse sperando di frenare il presidente che a sua volta non aveva nascosto l’intenzione di epurare i vertici dei funzionari inquirenti; oppure preparandosi la via d’uscita che pur lo lascia politicamente compromesso e isolato. Salvo per i legami spontanei e personali che vanno annodandosi tra i sempre più numerosi personaggi e gruppi di potere, negli ambienti economici, nei grandi organi d’informazione, nell’amministrazione pubblica, preoccupati dall’imprevedibilità di Jair Bolsonaro. Pochi giorni prima dell’ex giudice Moro, il capo dello Stato del Brasile si era disfatto del ministro della sanità, Luis Henrique Mandette, notoriamente protetto dai militari. Prima di lui del responsabile della Casa Civil, qualcosa di simile a un capo di gabinetto, quest’ultimo coinvolto nella vicenda giudiziaria di Flavio Bolsonaro, con il quale si erano scambiati roventi accuse e minacce.

In difficoltà, sebbene sia noto il suo temperamento forte e deciso, viene visto ormai anche il ministro dell’economia, Paulo Guedes, un ultra-liberista che osserva con ansia crescere debito pubblico e deficit di bilancio per la necessità del capo dello Stato di fronteggiare gli immediati costi finanziari della pandemia Covid-19 ch’egli ha negato fino a pochi giorni addietro. Tanto -appunto- da entrare in collisione con il responsabile della sanità e costringerlo infine ad andarsene. Dopo aver negato le stime del Fondo Monetario Internazionale e della Cepal, il governo ha dovuto prendere atto che la pandemia ha reso catastrofica la crisi già profonda in cui versava il paese. I morti ufficialmente riconosciuti sono poco meno di 3mila 350, i contagiati 50mila. Giornali e reti televisive lasciano trasparire tuttavia il sospetto che i numeri siano molto più drammatici.

Trovare un equilibrio sostenibile tra raccolta fiscale in caduta libera e crescente necessità di spesa sociale, per contenere almeno parzialmente il disagio popolare di massa e il sistema produttivo, cittadini e imprese, è di questi tempi un esercizio di spericolata acrobazia politica ovunque. Intanto i commerci internazionali sono praticamente fermi e i prezzi delle materie prime scivolano sotto i costi di produzione (esempio clamoroso il petrolio, una voce fondamentale dell’export brasiliano). L’avventurismo (il termine viene usato ormai perfino da più d’un alleato politico del governo) del presidente del Brasile vi aggiunge tensioni che pongono in pericolo lo stesso sistema istituzionale, creando inoltre frequenti incidenti diplomatici (con altri paesi latinoamericani, con Cina, Russia, Giappone) e disorienta l’opinione pubblica d’ogni tendenza. Il mandato di Jair Bolsonaro scade nel 2022: il Brasile, decima economia del mondo, gigante e baricentro economico del sub-continente americano, non può trascinarsi in questa crisi fino ad allora.

 

Livio Zanotti

“ildiavolononmuoremai.it”

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