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Nomine Cdp: “Scent of a Woman”?

Il post dell'avvocato Angela Lupo

Cassa Depositi e Prestiti ha designato i candidati dei rispettivi Consigli di Amministrazione di nove società partecipate o controllate.

Leggendo il comunicato di CdP – qui l’intera disamina – si apprende la candidatura: 1) nella qualità di Ceo, di nessuna donna; 2) in ordine alle nove società controllate o partecipate, per Fintecna e Sia nessuna componente donna, mentre, per le restanti sette, la presenza di due donne in media ad eccezione di CdP Immobiliare (n. 3 donne) e Fondo Sgr (n. 4 donne).

Per le nove controllate o partecipate, dunque, nessun Ceo donna.

Stupiscono davvero queste candidature, all’indomani della Giornata contro la Violenza sulle donne, giornata in cui ogni centimetro possibile di quotidiani o spazi commerciali era dedicato al genere femminile.

Un unicum nel parterre delle imprese italiane, pubbliche e private?

Non proprio, si direbbe. Sulla rivista Forbes Italia del 6 settembre 2019 già si indicava, tra i 100 top manager (tra Ad e Presidenti), solo otto donne.

La Legge Golfo-Mosca in via di estinzione?

Nell’ambito del diritto societario, la legge n. 120/2011 – entrata in vigore il 12 agosto 2011, grazie all’impegno delle deputate Lella Golfo e Alessia Mosca – ha stabilito che il 20% dei posti disponibili (dal 2015 la percentuale è salita a un terzo dei componenti), all’interno degli organi sociali (Consigli di Amministrazione e Collegi Sindacali) delle società quotate, doveva essere occupato dalla componente di genere più debole, le donne. Con D.P.R. n. 251 del 30 novembre 2012, entrato in vigore il 12 febbraio 2013, si è provveduto ad estendere la Legge Golfo-Mosca anche alle controllate della PA.

La legge Golfo-Mosca ha, tuttavia, una data di scadenza che si esaurirebbe nel prossimo 2022.

Per tale ragione, la deputata Cristina Rossello (FI), sostenuta da tutti gli altri gruppi parlamentari della Camera della passata Legislatura, ha presentato una Proposta di legge che punta a prorogare, oltre la scadenza del 2022, la legge Golfo-Mosca, per continuare a contrastare la discriminazione di genere e per implementare un nuovo modo di lavorare tra uomini e donne.

Perché riprendere la battaglia per la proroga della Legge Golfo-Mosca.

Come noto, se la composizione degli organi di amministrazione e controllo non rispetta le quote rosa, la legge dà alla Consob il potere di diffidare la società interessata, dandole la possibilità di adeguarsi entro quattro mesi; in caso di inadempimento, scatta la decadenza dei componenti dei board e l’irrogazione di sanzioni pecuniarie. Per le partecipate pubbliche non quotate in Borsa, la vigilanza è affidata alle Pari Opportunità il cui Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è affidato, attualmente, al Ministro Elena Bonetti.

Di sicuro passi in avanti sono stati fatti, da quando è entrata in vigore la legge Golfo-Mosca: nelle quotate in Borsa sono stati raggiunti risultati di tutto pregio. Nel 2011 i board avevano il 5,7% di donne, a maggio 2019 la loro presenza è salita al 35,5 %, ben sopra il 33,3 % “minimo legale”.

Lo stesso effetto, tuttavia, non si è avuto per i ruoli apicali: in buona sostanza poche sono, ancora oggi, le Ceo in italia.

Anticipando il Legislatore, in vista di un’eventuale proroga della Legge sulle Quote Rosa, va considerata meritevole di nota l’iniziativa di Snam che recentemente ha modificato lo Statuto sociale per mantenere, anche dopo la scadenza della Legge Golfo-Mosca, le disposizioni in tema di equilibrio di genere negli organi di amministrazione e di controllo della Società, e ciò, in coerenza “con le più recenti raccomandazioni del Codice di Autodisciplina delle società quotate in materia di c.d. “equilibrio tra generi” – approvate nel luglio 2018 – e le best practice nazionali e internazionali”.

Parità (con) Ceo donna?

Gli investitori istituzionali (soprattutto internazionali) si muovono, da tempo ormai, al pari degli azionisti di minoranza, nella direzione di ricercare per tempo eccellenze femminili da inserire nei consigli delle società dei quali sono soci, come componenti dei board o come Ceo.

Basti pensare a molte realtà internazionali che hanno nominato Ceo donne italiane (ad esempio Francesca Bellettini di Yves Saint Laurent).

Su questo fronte, tuttavia, l’Italia ha un forte gap.

Difficile capirne le ragioni di scelte politiche o semplicemente scelte di mercato che premino il mondo maschile a discapito di quello femminile. Diversity, diseguaglianza, questione di genere: queste tra le varie narrazioni che colorano la questione femminile.

Ma esiste la “questione femminile”? Esiste certamente, ma non è solo questione culturale e storica. Vero è che l’Italia manca di aiuti (logistici e di supporto) alle famiglie (spesso la donna che lavora è anche madre) e questo si ripercuote sui tassi di occupazione femminile

Vero è che è sempre bassa la condivisione tra i componenti della famiglia della gestione dei tempi di lavoro e cura. Per le donne che partecipano al mondo del lavoro si profilano carriere più discontinue e retribuzioni più basse. Queste tra le cause strutturali del problema gender gap, anche in riferimento all’assenza di figure apicali, provenienti dal mondo femminile.

Non sono solo queste, tuttavia, le reali cause.

In verità, da più parti ormai si sostiene come l’economica mondiale sia prigioniera di una crescita bassa o, in alcuni casi, piatta: proveniamo da un decennio caratterizzato da una diminuzione della produttività, un aumento delle disuguaglianze, il ritorno del protezionismo e la velocità dei cambiamenti climatici.

Secondo il Global Competitiveness Report 2019 (WEF), nella classifica dei Paesi più competitivi, Singapore è il Paese più vicino alla frontiera della competitività, gli USA sono secondi e l’Olanda è il primo Paese europeo. L’Italia occupa la 30° posizione: soffre, soprattutto, per il mercato del lavoro (90° posizione su 141), per la scarsa stabilità macroeconomica (63°) e l’adozione di nuove tecnologie (53°). Verrebbe da dire: cosa c’entra tutto questo con le nomine a Ceo delle nove aziende partecipate/controllate pubbliche?

Se il mondo del lavoro soffre fortemente, allora la questione gender gap potrebbe essere percepita come questione di secondo piano, poiché, nel comune pensiero collettivo, la donna assurge a “problema”, non in quanto soggetto debole in sé, quanto piuttosto per la mancanza di continuità lavorativa (si pensi alla maternità che interrompe il lavoro) oppure per la minore rappresentanza in ambito societario (che si traduce in minore esperienza e minori relazioni).

In fondo, si fa diventare leit motiv — da consenso elettorale — la questione “asili nido”, mentre i veri problemi del Paese sono lo sviluppo economico, il lavoro e la transizione energetica. Se non c’è lavoro e c’è stagnazione, se non c’è formazione specifico, ad esempio per le materie scientifiche (questione STEM, il maggior gap per le donne), potrebbero esserci problemi per la creazione di una vera cultura aziendale/professionale che favorisca le donne. E, diciamolo, una mentalità di tale fattura porta solo alla fine di una società e di un Popolo.

La scommessa, invece, dovrebbe essere fatta proprio sulle donne, ed, in particolare, sulla scelta ponderata di Ceo donne, perché ci possano lasciare un’impronta.

Andare oltre la politica (e le nomine “politiche”), poi, sarebbe il completamento di una storia di un Paese che si riprende da solo, per davvero.

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