Caro direttore,
ti scrivo perché credo non ci sia più redenzione per il nostro povero Paese, se anche una persona misurata e saggia come Paolo Mieli si lascia andare ai più beceri complottismi da social network.
Mi spiego meglio, perché so che tu guardi pochissima televisione. L’altra sera, facendo zapping, mi sono imbattuto in Quarta Repubblica, la trasmissione di Nicola Porro su Rete4 e lì ho trovato Paolo Mieli in una veste inedita: quello dello strillone anni ’20 (del secolo scorso) che gridava notizie mirabolanti davanti a un incredulo Nicola Porro, che ovviamente lo ha subito sfruttato per reclamizzare il suo programma (la pubblicità è l’anima del commercio, anche nel giornalismo, e Porro con le sue Ripartenze è un maestro nel genere).
So che non mi credi. Tutti noi conosciamo bene l’immagine faticosamente costruita da Paolo Mieli in anni e anni di onorata carriera. È più che un giornalista: è un saggista, un analista, un editorialista, uno storico, un manager. E chi più ne ha più ne metta. È soprattutto sempre felpato, misurato, illuminato. Beato lui. È un cerchiobottista, maligneranno quelli che magari non hanno troppo in simpatia il modus operandi del Corriere.
Possiamo aggiungere tutti gli aggettivi che vogliamo, ma di certo non è un grillino del Web, uno che grida alle “manine” che ti cambiano le leggi, uno che scrive post sulle “scie kimike” e sui complotti plutogiudaicomassonici con l’appoggio dei rettiliani. O no?
La rivelazione di Paolo Mieli https://t.co/UkCs2Cs18w
— Nicola Porro (@NicolaPorro) September 24, 2024
Da Porro l’altra sera si parlava del cosiddetto caso Striano, partendo dalle risultanze delle indagini coordinate da Raffaele Cantone, procuratore di Perugia, che Mieli, come ben ricorda lo stesso Nicola Porro sul proprio sito “inizialmente guardava con una certa dose di scetticismo alla portata delle accuse”.
“Tuttavia – prosegue sempre Porro nel suo racconto della serata – Mieli ha progressivamente riconosciuto la serietà della situazione, ipotizzando che l’affare Striano rappresenti solo la superficie di una realtà ben più complessa e inquietante, una sorta di “centrale” dell’informazione che raccoglie dati su figure di ogni schieramento per finalità ancora oscure”.
Mi sono appuntato le parole di Mieli a Quarta Repubblica, tieniti forte, direttore: “È la storia di una centrale che fa dossier su tutti, anche sulla sinistra, ma non sulla sinistra (Renzi), si tiene pronta su tutti. Non sono né i servizi, né i magistrati, è una centrale che ha imparato dalla storia trentennale di Mani Pulite, ha usato degli strumenti che sono in parte giudiziari, in parte dei servizi, e molla queste cose in vari modi. Le cose più stupide e irrilevanti (senza offendere colleghi di nessun giornale) li molla ai giornalisti, per assaggiare, per vedere quanto è identificabile. Per adesso non è identificabile”.
“Il potere è loro”, dice Mieli ormai perfettamente calato nell’impermeabile dell’agente dell’FBI Fox Mulder che rincorreva alieni e complotti nel telefilm X-Files. “Perché ti sfiancano, decidono che è un momento in cui tu devi essere indebolito. Appena si vota, si fa una maggioranza, ti danno una sistemata che te la ricordi e poi si ricomincia”.
Insomma, il buon Cantone (“che è la persona sui cui io presi l’abbaglio perché ero reduce dalla loggia Ungheria, storie finite nel nulla”, ammette Mieli) sarebbe alle prese di un complotto ben più grande di quanto immagini, qualcosa di sistematico che finisce per avvolgere e travolgere ogni governo da chissà quanto tempo. Siamo ben oltre i deliri che Sorrentino fa scandire al suo Andreotti ne Il Divo, quando viene fatto un unico minestrone usando come ingredienti gli episodi più bui della Prima Repubblica, legandoli assieme alla ricerca di un mandante comune.
Qui però non è un film. E Paolo Mieli è una persona troppo intelligente per legare fatti così diversi tra loro. È uno storico, sa che i fatti vanno presi separatamente, che forzare la loro interpretazione in ottica che tutto sia collegato è una operazione pericolosa. Da storico, Mieli mi tirerebbe le orecchie se dicessi, chessò, che c’è una organizzazione dietro all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando che ha fatto da detonatore alla I Guerra Mondiale ed è la stessa che ha orchestrato l’attentato alle Torri Gemelle di New York. Mi guarderebbe come se fossi matto. Eppure il giochino è lo stesso: prendere fatti eclatanti e dire che c’è un unico regista.
“Quello che si capisce tra le righe dei giornali – spiega Mieli -, è che esiste un dossier su tutti. Siamo in un’Italia in cui Violante ti citava la P2, io ti potrei citare il caso Sifar. C’è una costruzione che si ripropone periodicamente nella storia dell’Italia e ci sono dei tipi che trovano convenienza. Io capisco anche la convenienza: chi governa questi dossier, chi li conosce – basta conoscerli – non pilotarli, commissionarli”.
E, soprattutto: “Per tutta l’estate del 2024, compreso il sospetto di Alessandro Sallusti di ferragosto [Arianna Meloni], compreso l’affare Boccia e tutti i collegamenti. Hanno tutti riferimenti – per me individuabili – in questa centrale. Sono individuabili nei tempi, nei modi. C’è un filo rosso che lega tutte queste storie”.
Paolo Mieli ci sta dicendo infatti che c’è qualcuno che prima passa le informazioni a Sallusti sulla sorella del presidente del Consiglio, e sempre quel qualcuno istruirebbe Boccia nell’affaire Sangiuliano. Sarebbero insomma burattini manovrati da un soggetto occulto – o un gruppo o un comitato o un club o non so cosa – che mira a sovvertire ogni risultato elettorale, a indebolire le maggioranze affinché si creano governi di unità nazionale. Ma, direttore, vuoi vedere che Draghi è stato messo là dallo stesso Ufficio affari occulti? Vuoi vedere che il Covid-19 è stato liberato dai servizi deviati nell’aria di Wuhan perché si voleva porre fine al governo giallo-rosso? Palette probabilmente poco in tinta con l’armocromia del guardaroba di questi signori, che immagino vestano sempre di nero, come nei bei film di spie di una volta.
Sto esagerando, avverto che scalpiti. Torno ai fatti e alla trasmissione.
Dopo aver sparato una bomba simile, ovviamente Porro chiede a Mieli chi siano questi occulti manovratori. Vuoi davvero la risposta? “E che ne so. Io non sono un giornalista cospirativo, mai metterò a fare costruzioni del tipo “a chi giova?” ma attenti a pensare che, siccome adesso si accanisce sulla destra e su quattro più o meno illustri, non so se notate che quelli che vanno a beccare del centro destra, sono degli esimi colleghi ma non sono personaggi… Sangiuliano non è un personaggio centrale. Loro ce l’hanno su tutti, secondo la mia ricostruzione”.
Chiedo sommessamente perché Mieli – da principe degli editorialisti del Corrierone – non abbia chiamato il suo amico Luciano Fontana, attuale direttore del Corriere della sera, e – se ha sulla scrivania degli indizi, se ha avuto qualche soffiata, come pur parrebbe alludere – perché in nome dei bei tempi del Corriere della Sera mielista (tutto scoop, frizzi e lazzi) non abbia passato tutto ciò alla redazione di via Solferino? Tra l’altro nel gruppo di Cairo milita Milena Gabanelli, tra le più note giornaliste d’inchiesta del Paese, perché non cederle tutto il “dossier” anziché bruciarlo tra affermazioni per lo più nebulose, buttate in ordine sparso?
Poi, vero che Mieli è universalmente riconosciuto come persona misurata, ma non dimentichiamo che anche lui ha avuto i suoi periodi ondivaghi. Ricordiamo che firmò nel ’71 l’appello per la destituzione di Luigi Calabresi mentre in anni più recenti ha ammesso: “Non è una bella pagina della mia vita. Da lì un comandamento: riflettere prima di dire ‘so ma non ho le prove’, perché poi a ricevere le pallottole e a sparare sono altri”.
Una lezione appresa ma velocemente messa nel cassetto, alla luce delle sue ultime esternazioni. Allo stesso modo all’inizio dell’indagine di Cantone l’aveva velocemente derubricata come inchiesta che poteva finire nella proverbiale bolla di sapone mentre poche settimane dopo parla persino di attività di dossieraggio costante e ripetuta che colpisce senza distinzioni ogni governo del Paese, influenzando la vita democratica della nazione.
Non so cosa ne pensi, a me tutte queste asserzioni sentite su Quarta Repubblica paiono davvero poco giornalistiche. Da un decano della materia, per di più noto e affermato storico, mi aspetterei anzitutto l’esposizione dei fatti: nomi, lettere, documenti. Senza è solo l’ennesimo “al lupo, al lupo” da social network tipico di estremisti di destra e di sinistra.
Non c’è davvero redenzione per il nostro Paese, direttore, se anche una persona misurata come Mieli inizia a parlare per “sentito dire” vedendo ovunque manine e complotti.
O forse sono io che ho le fette di salame davanti agli occhi e non mi accorgo della macchinazione in cui siamo immersi? Farò forse parte del complotto? Sarò manovrato pure io?
Ah, saperlo…
Tuo,
Claudio Trezzano