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Nico Piro racconta il fallimento americano in Afghanistan

“Kabul, crocevia del mondo” di Nico Piro letto da Tullio Fazzolari

 

Le atrocità dell’aggressione russa all’Ucraina provocano una sacrosanta indignazione. Ma non devono far dimenticare gli orrori di un’altra guerra appena conclusa. Appena otto mesi fa, americani e alleati hanno abbandonato l’Afghanistan dopo vent’anni di conflitto. Più che un ritiro è stata una fuga. Migliaia di morti e miliardi di dollari non sono serviti a nulla e i talebani hanno ripreso il controllo totale del paese. E’ stato un fallimento totale di cui per ipocrisia quasi non si parla più. E invece si dovrebbe quanto meno per capire quali errori sono stati commessi ed evitare di ripeterli in futuro. (Leggi anche: Perché gli Intellettuali devono reinventarsi. Parola di Cassese)

Nico Piro con “Kabul, crocevia del mondo” (People, 336 pagine, 17,50 euro) rompe il muro di reticenza ripercorrendo le vicende del conflitto che come inviato ha seguito in tutte le sue fasi. Ma il suo non è semplicemente un diario di guerra. E’ anche la spiegazione di un paese e del suo popolo che gli occidentali non hanno mai capito nemmeno in quei venti lunghi anni in cui hanno mandato armi, soldati e dollari. Ed è anche la descrizione di una nazione orgogliosamente fiera dove chiunque abbia tentato di intervenire con la forza (dagli zar all’Unione Sovietica, dall’impero britannico fino agli USA) ne è uscito puntualmente a pezzi. Come dire: la storia insegnava ma nessuno ne ha tenuto conto e ci si è cacciati in un vicolo cieco.

Per raccontare meglio che cosa sta accadendo adesso e quali sono le conseguenze del fallimento occidentale Piro è tornato in Afghanistan tre mesi dopo i terribili giorni della fuga dall’aeroporto di Kabul. E ovviamente tutto è cambiato. O meglio tutto è come prima dell’intervento occidentale. L’Afghanistan che si voleva far rivivere era forse quello degli anni Sessanta quando le donne potevano studiare liberamente o addirittura indossare il bikini per fare il bagno in piscina. Della Kabul di quei tempi restano solo le fotografie appese nella hall degli alberghi. L’amara constatazione è che sono stati impiegati vent’anni senza ottenere un risultato e senza impedire che l’Afghanistan precipitasse di nuovo nell’integralismo.

“Kabul, crocevia del mondo” elenca e analizza tutti gli errori commessi dagli occidentali a partire dall’inizio dell’intervento militare deciso da Bush agli accordi di Doha negoziati durante la presidenza Trump fino alla precipitosa ritirata di Biden. Di fatto è un manuale degli sbagli che non bisognerebbe commettere mai più. Ma è abbastanza improbabile che qualcuno impari la lezione. Ai meno giovani il racconto di Piro fa inevitabilmente venire in mente altre vicende negative che fanno dubitare dell’intelligenza occidentale. O, per essere più espliciti, fanno nascere seri dubbi sulla bontà dell’approccio degli Stati Uniti in alcune questioni di politica internazionale. Esportare libertà e democrazia senza tenere conto delle realtà locali è un’impresa impossibile. In Corea, dopo la fine della guerra, ci sono stati venticinque anni di dittature sanguinarie. In Vietnam s’è fatto affidamento su generali inetti e corrotti. In Afghanistan su politici che rappresentavano solo se stessi con un presidente che all’arrivo dei talebani è scappato con la cassa. Leggendo il libro di Piro si spera che quello che è successo a Kabul non accada più. Ma è appunto solo una speranza.

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