Skip to content

New York Times Microsoft

Open AI, il New York Times riuscirà a sconfiggere Microsoft?

Il New York Times fa causa a OpenAI, la società a cui fa capo ChatGPT, e Microsoft per violazione del diritto di autore. Ecco perché. L'articolo di Gregory Alegi

 

Si dice che i giornali non dovrebbero mai essere la notizia, ma solo il veicolo delle notizie. Un bel problema per il New York Times, che ha simultaneamente depositato la causa contro Microsoft e OpenAI e lanciato la breaking news dell’anno. In poche parole: l’intelligenza artificiale ruba il mestiere ai giornali e fa male alla democrazia. Un assunto sul quale la giuria del tribunale civile distrettuale di New York Sud sarà presto chiamata a decidere.

In ballo non ci sono soldi – nelle 69 pagine depositate oggi non si parla di cifre, per ora – ma la difesa della proprietà intellettuale e l’assetto dell’informazione. Secondo il Times, il motore di ricerca Bing! di Microsoft e OpenAI hanno usato gratuitamente milioni di articoli del quotidiano per addestrare i chatbot che oggi gli fanno concorrenza sfruttando gli articoli digitali che ne coprono l’attività sin dal 1851. «I convenuti vogliono cavalcare gratuitamente i massicci investimenti del New York Times nel proprio giornalismo», si legge. Secondo il quotidiano, OpenAI e Microsoft «usano i contenuti del Times senza corrispettivo per creare prodotti che lo sostituiscono e gli sottraggono pubblico».

Contrariamente a quanto i tecnocrati potrebbero pensare, in questa causa la carta stampata è il Davide. Nonostante i suoi 10 milioni di abbonati (e dieci volte tanti lettori occasionali) e 5.600 dipendenti (dei quali 2.200 nella parte giornalistica), la capitalizzazione di mercato del Times è di meno di 8 miliardi di dollari, mentre la sola Microsoft ne ha investiti 13 in Open AI, la cui valutazione è oggi stimata a oltre 80 miliardi e di cui Microsoft detiene il 75% delle quote, che scenderanno al 49% quando l’investimento sarà stato ripagato. Non c’è dubbio che, almeno dal punto della forza economica, l’algoritmo sia oggi Golia. Prima di fare causa, il quotidiano spiega di aver tentato senza successo di raggiungere un accordo come già con Google, Meta e Apple. È per questo che la causa è destinata a fare storia. Da una parte, i sostenitori della tecnologia a ogni costo; dall’altro, quanti rivendicano non solo il diritto di essere compensati per il lavoro svolto ma soprattutto il ruolo di chi raccoglie, valida e distribuisce notizie.

Come in ogni buon articolo, la storia sta tutta nel primo paragrafo. «Il giornalismo indipendente è vitale per la nostra democrazia. È anche sempre più raro e prezioso», scrivono gli avvocati del giornale. «Questo lavoro è sempre stato importante. Ma in un ecosistema informativo avariato sommerso di contenuti inaffidabili, il giornalismo del Times fornisce un servizio che è diventato sempre più prezioso per il pubblico perché fornisce informazioni, analisi dei fatti e commenti affidabili». L’uso gratuito del materiale del Times, dagli articoli ai manuali di stile, rende sempre meno sostenibile la libera informazione – per capirci, quella che in Italia chiamiamo “editoria pura”, come attività a sé stante, chiamata a reggersi da sola perché non sussidiata da altre attività industriali o finanziaria.

La causa del Times è solo l’ultima di un elenco che già comprende scrittori di grido i cui libri sono stati “masticati” a scopo addestrativo, personaggi pubblici dei quali sono state utilizzate le autobiografie e persino colossi della fotografia come Getty Images. Proprio questo fa comprendere la complessità della partita: Getty accusa OpenAI di produrre immagini digitali la cui realizzazione si ispira a quelle delle quali Getty detiene i diritti. Un mercato al quale Getty punta attraverso l’accordo raggiunto in settembre 2023 con Nvidia per creare foto basate sui propri archivi, nei quali è peraltro facile trovare foto di pubblico dominio (si pensi a quelle della NASA o delle forze armate USA) arbitrariamente “assorbite”.

Secondo il Times, OpenAI ha da tempo abbandonato lo scopo di ricerca sull’intelligenza artificiale, concedendo solo a pagamento l’uso delle versioni di ChatGPT, la più famosa delle applicazioni che compilano testi. Il fatturato previsto per il 2024 è nell’ordine del miliardo di dollari. «Questo successo commerciale è costruito in gran parte sulla violazione del copyright su larga scala da parte di OpenAI», scrivono senza mezzi termini i suoi avvocati. «Una delle caratteristiche centrali che spingono l’uso e la vendita di ChatGPT e prodotti associati è la capacità di questo LLM [Large Language Model] di produrre linguaggio naturale in una varietà di stili. Per raggiungere questo risultato, nell’“addestrare” il LLM OpenAI ha fatto numerose copie di lavori protetti da copyright del Times.» In termini numerici: ChatGPT-3 usava 175 miliardi di parametri e ChatGPT4 addirittura 1,8 triliardi, alimentati da banche dati enormi, tra le quali una copia-specchio dell’intera internet (compreso dunque Startmag.it).

Al momento in cui scriviamo, non risultano risposte ufficiali da parte di Microsoft e OpenAI. Ci sono però due facili previsioni. La prima, che la causa approderà alla Corte Suprema, che dovrà decidere se l’addestramento su materiali creati dalla mente dell’uomo per alimentare le capacità di generazione digitale sia compatibile con la Costituzione degli Stati Uniti, che con eccezionale lungimiranza già nel 1787 garantiva ad «autori e inventori» la tutela federale del «diritto esclusivo alle loro rispettive scritture e scoperte.» (articolo 1, sezione 8).

La seconda è che se ChatGPT, LLM e AI in generale rendono difficile la vita al giornalismo di qualità, quello copia-incolla è già un morto che cammina.

Torna su