Nei giorni scorsi avevamo evidenziato l’importanza della parola, del parlarsi, del dialogo: tra vaccinisti convinti ed esitanti, ma anche con i no vax dichiarati; con i “fascisti” e con tutti gli avversari politici, per quanto distanti; tra nemici belligeranti, perché è meglio un tentativo di tregua sgangherata che la prosecuzione di una guerra insensata, sanguinosa e distruttiva. Presumiamo che tale posizione, pur a rischio di banalità, non possa essere logicamente contraddetta.
Merita però di approfondire un aspetto che viene spesso e goffamente citato, quello della veridicità delle parole usate nei dialoghi, nei confronti e anche nelle chiacchierate, le chat alle quali si riducono gran parte delle nostre conversazioni. Attribuiamo alle fake news, alle bufale, alle menzogne di cui siamo sbrigativamente pronti ad accusare interlocutori e avversari i danni causati invece dalla nostra superficialità frettolosa. Dovremmo riflettere, approfondire e verificare, spendere più tempo.
In genere, nel mirino di queste osservazioni finiscono le reti digitali, i social media, gli influencer ai quali si attribuisce ormai un potere illimitato, quasi vivessimo nelle narrative distopiche, nei romanzi orwelliani in cui propaganda e manipolazione la fanno da padrone. Mentre il problema odierno è di confusione, di disorientamento, comprensibilmente generato dalla quantità ingestibile di cose che sentiamo e vediamo (senza guardare né ascoltare).
Uno dei protagonisti di questo scenario globale, Bibi Netanyahu, ritenendosi vittima di un complotto retorico teso a farlo passare per il cattivo che non sarebbe, tanto ben ordito da avergli alienato o scalfito le simpatie di mezzo mondo – Italia e Usa inclusi, tanto per citare due sue storici alleati – per ribaltare tale narrativa ha pensato di arruolare proprio degli influencer. Che dovrebbero confermare la sua tesi, smentendo che Israele stia conducendo un conflitto diretto soprattutto contro i civili, bambini e giornalisti inclusi, colpiti con le armi e con la fame. “Non è vero, non c’è carestia a Gaza, abbiamo mandato tonnellate di viveri” è la verità che Tel Aviv cerca di dimostrare.
Sfortunatamente, questo tentativo di fact checking avviene proprio mentre le IDF colpiscono per l’ennesima volta un ospedale, uccidendo tra gli altri cinque reporter. E stavolta il capo del governo israeliano deve ammettere che c’è stato un “tragico incidente”. La colpa delle bufale propagandiste sulla cattiveria israeliana, prendendo per buona la tesi di Netanyahu, è tanto nella volontà di scomparsa di Israele che anima i suoi avversari quanto nell’eccesso di durezza che la Nazione sta impiegando per difendersi. Difficile quindi trovare una soluzione, gli influencer non basteranno ma è utile che ci sia un elemento di riflessione controcorrente a spezzare il mainstream che ci racconta questa vicenda, come tante altre. Su cui magari torneremo a breve, essendoci qui già troppo dilungati.
Ci allunghiamo solo per una breve, non richiesta e speriamo non inopportuna annotazione personale: chi scrive è tendenzialmente un sionista, ritiene che il 7 ottobre e l’assedio che Israele subisce, da parte di Hamas e di altri palestinesi e musulmani che ne vogliono la scomparsa fisica dalla faccia della Terra, giustifichino alcuni eccessi di reazione, ma non quello che sta accadendo da troppo tempo. Chi scrive, cioè, ha cambiato idea regolandosi sui fatti, un’altra delle cose che la frettolosa superficialità di questi tempi non consente di fare.