Giuliano Cazzola è l’emblema dell’essere socialista. In lui ritrovo un’identità che dovrebbe essere universale, cioè generalizzabile. Generosità estrema, rispetto delle idee diverse, cultura delle differenze, grande mitezza, un anti-comunismo ancorato ai fatti che spesso sono un seguito delle ideologie.
Su Gaza e, in generale, la politica israeliana verso i palestinesi, in un recente articolo su Huffington Post e su Start, egli muove da un elemento che deve essere comune, cioè indiscutibile: il nostro debito verso gli ebrei e anche Israele è infinito e non può essere confuso con la pessima deriva (autoritaria e pericolosa per la sua stessa sopravvivenza) del governo in carica.
Credo non si possa dire meglio. Dove comincia il dissenso? Direi nel considerare – non sempre solo da parte sua – ogni critica all’operato del governo presieduto da Netanyahu (che assume come valore unico permanente la Shoah) come un atto di antisemitismo. E in secondo luogo una forma di simpatia, se non di solidarietà, col terrorismo di Hamas.
Non nego che possano esistere posizioni di questo tipo e sia necessario isolarle e contrastarle.
Faccio parte dell’opinione pubblica che ritiene un orrore, semplicemente una forma di disumanità, quanto la banda criminale di Hamas ha compiuto il 7 ottobre e dopo, con la detenzione di alcune centinaia di ostaggi.
A questo proposito scatta la prima domanda: c’è stata solo rilassatezza, mancata vigilanza e controllo da parte del più scrupoloso ed efficace servizio segreto del mondo, cioè quello di Israele?
Stento a crederlo. Occorre ribadire una precisa linea di condotta: i tagliagole di Hamas debbono essere individuati uno per uno e messi in condizioni di non nuocere per un numero infinito di anni. Chi ha colpito, squartato, violentato quelle 1200 persone riunite in una sera di festa e di svago appartiene a una parte del mondo e degli uomini in cui il senso di umanità si è spento definitivamente.
Indipendentemente dalle ragioni, il terrorismo di questa ala del movimento per la liberazione della Palestina è dominato dalla cultura del male in sé e per sé. Pertanto è pronto a replicare le sue efferatezze. Si può fare le anime belle e convivere con questa schiuma della terra, la sua inaudita barbarie?
Di fronte ad esempi come quelli del 7 ottobre, la pietà, il perdono, la ricerca di giustificazioni non hanno alcuna ragione di essere. Se Netanyahu avesse non la statura, ma solo il fagotto o la camicia inamidata dello statista, avrebbe fatto quel che fece Golda Meir con gli assassini dei giochi olimpici di Monaco. Oppure bisognerebbe affidarli ai parenti delle 1200 vittime. Homo homini lupus, dunque.
Non possono esserci soste o ambiguità. La presenza di Hamas deve essere non solo contrastata, ma distrutta, sradicata con ogni mezzo, coinvolgendo le Nazioni Unite. Pietà l’è morta, rassegniamoci alla realtà.
Di qui una domanda a Giuliano Cazzola: com’è stato possibile che in maniera assolutamente indisturbata si sia potuto edificare una galleria di circa 470 km in cui le squadracce criminali di Hamas hanno potuto lavorare indefessamente per anni, senza che mai, neanche per sbaglio, ne abbiano avuto qualche segno, indizio, denuncia sia il servizio segreto israeliano, sia quello degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Francia, della Germania, dell’Unione Sovietica ecc.? È davvero credibile che nessuno si sia potuto rendere conto che sotto il loro naso e i loro occhi era in corso una grande opera per internare, torturare, armare, curare, alimentare decine di migliaia di persone o segnarne la morte più squallida?
A questa domanda esiste l’abbozzo di una risposta che provo a formulare. Il governo Netanyahu, insieme all’alto comando di Hamas, aveva un obiettivo in comune che sopravanza ogni dissenso e tensione: contrastare con ogni mezzo la creazione di uno Stato palestinese.
Entrambi hanno operato sulla base di uno scambio. Netanyahu non ha avuto niente da dire (anzi pare abbia preso parte allo stesso finanziamento di Hamas) alla sua trasformazione, una volta vinte le elezioni a Gaza, in un regime dispotico, e sulla costruzione della lunghissima galleria sotterranea.
Come mai? Perché aveva acquisito la garanzia che i tagliagole condividevano col governo di Tel Aviv, vale a dire l’opposizione più strenua a dare ai palestinesi una terra, una patria, cioè uno Stato.
Vengono così a cadere gli elementi che hanno per decenni differenziato Israele dai regimi di ayatollah, emiri, sette e bande di potere del mondo islamico.
Le decine di migliaia di bambini, di donne, di malati, di vecchi che le forze armate di Tel Aviv – insieme all’opera di sabotaggio micidiale e di distorsione svolta dagli uomini di Hamas nella distribuzione delle risorse alimentari – costringono alla fame, alla sete, alla mancanza di ogni assistenza, nei prossimi anni non avranno che un obiettivo: passare per le armi, abbattere con ogni mezzo di violenza gli israeliani che in questo anno e mezzo li hanno ridotti a carne da cannone, a larve umane.
Caro Giuliano, lasciami dire che quando i governanti di Israele si oppongono alla formazione di uno Stato palestinese non sono molto diversi dagli Stati arabi che si sono sempre opposti, e si oppongono, all’esistenza dello Stato di Israele. Ne perseguono lo sradicamento e la morte, col silenzio – che vuol dire complicità – dell’ONU.
Netanyahu ha già messo in cantiere e avviato l’opera infame per la delegittimazione del suo paese. In questi ultimi due anni nessun mezzo di comunicazione pubblico, a cominciare dalle reti televisive, ha potuto documentare con fotografie e riprese dirette i massacri e lo sterminio compiuto dall’esercito su ordine del premier. Della soluzione finale che pare sia stata loro affidata, l’opinione pubblica israeliana non ne sa nulla. Se questo non è l’aspetto macroscopico di un regime dittatoriale, non saprei francamente dire.
Non basta: da due anni ormai nessun giornalista dei media israeliani e stranieri può fare inchieste e riprese del macello spaventoso di bambini, donne, vecchi. Il premier ieri ha dichiarato che non lo sapeva!
Non basta: l’esercito israeliano, sulla base di ordini impartiti da Netanyahu, ha sancito come valido il principio per cui si può radere al suolo, abbattere, colpendo a morte un palazzo e i residenti, sulla base di un indizio, di un sospetto che qualche terrorista di Hamas abbia trovato rifugio o protezione all’interno di esso.
E potevano, come fecero il 7 ottobre, ripetere azioni altrettanto esecrabili, e Israele poteva radere al suolo centinaia di immobili, ridurre a rottami scuole, ospedali, chiese, affamare decine di migliaia di bambini, far morire di stenti vecchi, malati. È lo stesso lavoro sporco, esecrato ed esecrabile dei nazisti nei loro campi di concentramento, anche tenendo conto delle sensibili differenze con la prassi del genocidio (che sono state elencate con grande rigore da uno studioso come Andrea Graziosi su Il Foglio).
Ma in nome della mitologia governativa sulla presunta unicità della Shoah sono vietate comparazioni sicuramente assai imbarazzanti. Ebbene, le cose non stanno così.
La democrazia di Israele è stata colpita a morte dal governo in carica e dal suo esercito. Entrambi si muovono e obbediscono a una logica espansionistica e sub-imperialistica. È non solo lecito, ma ragionevole dire: non “dopo Winston Churchill, Netanyahu”, ma piuttosto: “dopo Hitler, Netanyahu”.
Come si fa a dire che “Gli unici affamati sono gli ostaggi” in una conferenza stampa riservata ai giornalisti stranieri meno detestati?
Davvero, di fronte alle decine e decine di migliaia di morti per fame, per sete, per mancanza di cure e di medicine, di scuole, di ospedali e cibo, c’è qualcuno che abbia il coraggio di ritenere tutto ciò incomparabile con quanto ha avuto luogo nei campi di sterminio hitleriani o con gli stenti, le sofferenze, il morire quotidiano degli ostaggi ancora nelle mani adunche degli squartagole di Hamas?
Un premier perseguito dall’amministrazione giudiziaria israeliana per gravi reati, condannato come criminale di guerra da una corte di giustizia internazionale, isolato all’interno della stessa opinione pubblica israeliana – compresi i servizi segreti e le forze armate – e nel mondo civile (in cui ha avuto per sodale, peraltro incerto, un immobiliarista come Trump), può davvero pretendere di guidare un governo e puntare ad assoggettare a un’immane politica omicidiaria gli abitanti di Gaza?
Occupare nuovamente Gaza?
Il piano di occupazione di Gaza illustrato nel parlamento israeliano ha mostrato lo spettacolo di un premier isolato. Non ha fissato una data per potere guadagnare tempo.
Spera nella ripresa di un negoziato con Hamas e sulla possibilità di un accordo basato sul pacchetto tregua–ostaggi, disarmo di Hamas e nuova governance gazawi.
Il piano di occupazione della Striscia di Gaza suona come una provocazione e uno schiaffo in piena faccia a chi domenica ha indetto uno sciopero generale, ai nove grandi paesi che hanno deciso di marciare insieme, alla Russia e ai venti paesi musulmani. Tutti convengono su quel che Netanyahu nega, cioè che la Striscia di Gaza è parte integrante dello Stato palestinese, cioè senza di essa questo non ci potrà mai essere.
Dall’interno delle forze armate giungono grandi preoccupazioni sull’impossibilità dei comparti militari di poter far fronte a una crisi umanitaria di tali proporzioni.
Dove si andranno a prendere i 250 mila soldati necessari per occupare tutta la Striscia? Ha torto l’ex portavoce, per circa 25 anni, dell’Israel Defence Force, a sospettare che il “controllo della sicurezza” proposto dal governo sia solo un eufemismo per rioccupare Gaza e reinsediare nei territori i coloni?
In questo modo l’IDF a Gaza non sarebbe di passaggio, come proclama Netanyahu, ma dovrebbe esercitare, insieme a un controllo militare, anche un controllo dell’amministrazione civile.
Il punto è che occorre sorvegliare gli stessi vicoli, le centrali elettriche, finanziare scuole e ospedali. Aumenteranno le vittime e i costi finanziari. Si tratta di decine di miliardi di dollari all’anno.
Già ora il reclutamento dei riservisti è diminuito del 35-40%, e il 40% di essi ha detto chiaro e tondo che non sono disponibili a un eventuale secondo turno a Gaza.
La richiesta di assistenza dei militari è cresciuta enormemente. Basta pensare che le zone di assistenza hanno ricevuto oltre 40 mila richieste di aiuto. I suicidi fra i soldati sono più numerosi che nei precedenti dieci anni. Per non parlare delle tendenze suicide che, secondo la dott.ssa Shiri Daniel, sono aumentate del 145%.
L’obiettivo è anche di evacuare e impadronirsi di Gaza City. Ora Israele ha razionato il consumo di elettricità ed acqua. Ma dove si pensa di infilare una popolazione di 800 mila persone, che per il 70% ha meno di 25 anni?