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Nba, come cambia il campionato di basket dei college

L’organismo che controlla lo sport collegiale americano ha aperto alle sponsorizzazioni degli studenti più promettenti: la notte del Draft avrà tutto un altro significato

C’è un minimo comune denominatore nella carriera di tutti i giocatore di basket della National Basketball Association, la celebre Nba, superstar o gregari che siano.

Una serata impressa per sempre nella loro mente, l’istante in cui hanno realizzato il loro sogno: la notte del Draft. Nello sport americano, il draft è il sistema con cui le squadre reclutano i giocatori dai college. A differenza di quanto succede in Europa, dove i migliori giovani possono essere venduti a chi offre di più, in America non è possibile acquistare i prospetti migliori.

IL DRAFT

I giocatori vengono scelti secondo l’ordine prestabilito dalla “draft lottery”, un’estrazione a cui partecipano le squadre che non hanno preso parte ai playoff (il torneo finale che assegna il titolo). Tra queste, quelle con il record peggiore (partite vinte e perse) hanno più possibilità di ottenere la prima scelta, quindi scegliere il giocatore con più talento.

LA SVOLTA ECONOMICA

Il draft è un evento molto atteso negli Usa poiché i giocatori dei college, pur non essendo professionisti, sono conosciutissimi. Il campionato Ncaa (National Collegiate Athletic Association) è una realtà importante, con fantastici palazzetti moderni sempre stracolmi e milioni di persone davanti alla tv per seguire fin dai primi canestri l’ascesa delle stelle che arriveranno alla Nba. Ma fino a quel momento sono semplici studenti universitari che hanno ottenuto una borsa di studio per meriti sportivi, senza ricevere alcun altro tipo di compenso dal college per cui sudano. I giocatori non possono neanche ricevere soldi da terze parti con accordi di sponsorizzazione o assumere un agente perché altrimenti cadrebbe lo status amatoriali.

IL BUSINESS DELLA NCAA

Questa classificazione è fondamentale per la Ncaa perché garantisce sgravi fiscali per le nonprofit su cui si basa il business del torneo.

Il giro d’affari del collage basketball continua a crescere con costanza grazie ai diritti televisivi (la finale del 2019 è stata vista da 20 milioni di persone) e le sponsorizzazioni, riuscendo nel 2017 a sfondare la barriera del miliardo di ricavi a stagione.

LE ACCUSE AD NCAA (DI TANTI)

A fronte di questi guadagni in molti hanno puntato il dito contro il sistema Ncaa, accusandoli di sfruttare i ragazzi iscritti nei loro atenei che, in tutto e per tutto, fanno una vita da sportivi professionisti senza venire retribuiti. Il loro fisico viene spesso portato al limite esponendoli al rischio di infortuni che, in casi estremi, possono anche porre fine alla loro carriera agonistica ancor prima che questa inizi ufficialmente.

Oppure, semplicemente, farli etichettare come giocatori “injury prone” come dicono oltreoceano, ovvero inclini all’infortunio: una caratteristica che le franchigie Nba tengono molto in considerazione e che può fare la differenza tra firmare un contratto o meno.

Sottoscrivere un accordo da professionista cambia la vita della maggior parte di questi giovani. Sempre più spesso negli ultimi anni ragazzi di belle speranze hanno deciso di non accettare le offerte dei college per andare a cercare fortuna in qualche campionato estero (Australia e Cina tra i più gettonati). Oppure nella Lega di sviluppo Nba, ovvero la G League (fino a poco tempo fa chiamata D League da “development” ma la ricca sponsorizzazione di Gatorade ha fatto cambiare idea) dove possono monetizzare fin da subito, seppur in misura inferiore rispetto al contratto garantito dalla Nba per tutti i rookie (giocatore al primo anno), e assestare la situazione economica delle proprie famiglie, molto spesso più che complicata.

VERSO LE SPONSORIZZAZIONI?

Ad aprile 2020, dopo anni di polemica, si è iniziato a intravedere un barlume di speranza e di cambiamento: l’organismo che controlla lo sport collegiale americano ha aperto alle sponsorizzazioni e emolumenti per lavori garantiti da terzi. Le scuole non devono essere in nessun modo coinvolte, sempre per la mantenere la natura di nonprofit. Gli atleti ,dalla stagione 21/22, potranno dunque sfruttare il loro nome e la loro immagine per siglare accordi di sponsorizzazione. La sentenza non ha ancora dato una risposta definitiva, ma il via libera sembra dietro l’angolo.

La notte del Draft rimarrà per sempre un rituale di passaggio, ma forse non avrà più quel significato di svolta economica.

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