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Navi Penne E Cannoni

Il vero Settecento

"Navi, penne e cannoni" di Linda Colley letto da Tullio Fazzolari.

Ogni secolo durava cento anni e questa sembrava una sicurezza. Non è più così da quando un grande storico inglese, Eric Hobsbawm, ha definito il Novecento il secolo breve facendolo iniziare con la prima guerra mondiale e concludersi nel 1991 con il crollo dell’Unione Sovietica. Al contrario l’Ottocento diventa il lungo secolo perché inizia con la rivoluzione francese e finisce nel 1914. Di conseguenza è breve anche il Settecento che termina nel 1789.

Il nuovo metodo di calcolo ha una logica ineccepibile perché si basa sugli eventi per dare al secolo una caratteristica di omogeneità. Ma è totalmente discrezionale al punto che perfino le valutazioni di Hobsbawm possono essere rimesse in discussione. Lo dimostra “Navi, penne e cannoni” (Rizzoli, 468 pagine, 26 euro) di Linda Colley. L’obiettivo dell’autrice non è assolutamente polemizzare con altri storici. Ma di fatto rivaluta il Settecento che finisce per diventare non soltanto un secolo più lungo ma anche uno dei più importanti per la storia moderna. E’ l’epoca dei conflitti che determinano nuovi assetti in Europa e ridisegnano gli imperi coloniali. E’ anche l’epoca delle rivoluzioni e della prima vera guerra d’indipendenza con cui gli Stati Uniti si liberano della dominazione inglese. E fin qui può sembrare che la storia di quel periodo sia stata scritta solo con “navi e cannoni” in un interminabile susseguirsi di eventi bellici. E invece il Settecento è soprattutto il secolo dell’Illuminismo e quello che lo contraddistingue, come spiega Linda Colley, è la nascita delle prime costituzioni moderne. Le “penne” sono in definitiva le armi più potenti che lasceranno un segno indelebile per il futuro e quasi in ogni parte del mondo.

E’ quasi scontato ricordare  la carta costituzionale dei padri fondatori americani. O le dichiarazioni di principio successive alla rivoluzione francese. Ma non si dovrebbero dimenticare il Nakaz di Caterina II di Russia del 1767 né il tentativo degli indipendentisti della Corsica di darsi un proprio ordinamento nel 1775. Tra una guerra e l’altra quasi dappertutto si sviluppa l’interesse per la costituzione. Provano a darsene una perfino i ribelli haitiani che s’illudono d’essere diventati un impero. Compaiono legislatori in Sierra Leone e in Tunisia dove Khayr al-Din introduce la prima costituzione islamica moderna. La stessa Francia non si è mai fermata nella ricerca di un ordinamento migliore tanto che perfino durante i cento giorni Napoleone chiede a Benjamin Constant, suo storico oppositore, di redigere “l’Acte Additionel” per dare una svolta più liberale al suo impero.

Se si tiene conto della spinta pressoché universale verso le costituzioni, il Settecento non finisce con la presa della Bastiglia. Con un po’ di esagerazione lo si può prolungare per gran parte dell’Ottocento quando ordinamenti più moderni vengono introdotti in Giappone e perfino nella minuscola isola di Pitcairn. Ma leggendo il libro della Colley ci si rende conto che contano i progressi della storia e che non ha molto senso mettere i paletti per segnare un inizio e una fine. Del resto s’era convenuto che il secolo breve si fosse concluso con il crollo dell’Unione Sovietica ma a guardare le conseguenze, con l’aggressione russa all’Ucraina, viene il dubbio che il Novecento non sia ancora finito.

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