Caro direttore,
capisco l’esultanza dei media, ovviamente non solo italiani, per la caduta del regime della dinastia degli Assad.
La liberazione della Siria e soprattutto la fuga di quello che giustamente fu soprannominato il macellaio di Damasco rappresentano effettivamente delle ottime notizie ovviamente per il già martoriato popolo siriano ma anche per noi che abbiamo assistito impotenti per oltre mezzo secolo alla barbarie di una tirannia criminale.
Vorrei tuttavia uscire dal coro che in questo momento, e con modalità che lasciano perplessi, sta letteralmente osannando la figura del liberatore di Damasco, il comandante di HTS, Mohammed al-Jolani.
Ne ho sentito parlare addirittura come di un moderato, e persino uno che protegge le minoranze religiose. E c’è stato anche chi ha notato come, nella più recente intervista, Jolani fosse apparso con una barba insolitamente corta per gli standard di uno jihadista.
Perché questo, che piaccia o no, è il background del leader che ha travolto la raccogliticcia armata di Assad spodestandolo e accingendosi, da conquistatore, a dire la sua sul futuro assetto della Siria.
Giusto perché io non appaia un maldicente, citerò una fonte autorevole come il Consiglio di Sicurezza Onu. Nei documenti in cui le Nazioni Unite hanno sanzionato le principali sigle e gli uomini che una dozzina d’anni fa terrorizzavano la Siria, in un elenco in cui la famigerata Isis compare al fianco della non meno temibile al Qaeda, vi sono ampi riferimenti proprio ad al-Jolani, che figurava tra i leader sanzionati.
Anzi, più che riferimenti, quelli dell’Onu sono atti d’accusa nei confronti di quello che allora era l’emissario di bin Laden in Siria in qualità di capo della divisione locale del gruppo jihadista e che fino a poco prima, in combutta col suo compagno di merende che di lì a poco sarebbe diventato il califfo dell’Isis, ossia Abu Bakr al-Baghdadi, spadroneggiava in Iraq sempre per conto della casa madre qaedista.
Come scrive l’Onu, la guerra civile siriana era appena iniziata quando Baghdadi, in qualità di capo di al-Qaeda in Iraq, spedì Jolani e molti uomini in Siria gettandoli nella mischia e costituendo la sezione locale di al-Qaeda. Nel 2013, prosegue l’Onu, dichiarava che era sua intenzione istituire uno Stato islamico in Siria attraverso mezzi violenti. Per perseguire questo obiettivo, prosegue il Palazzo di Vetro, Jolani non esitò a sferrare attacchi che causarono la morte di tantissimi civili.
Nel 2013, alla vigilia della fondazione del Califfato, le strade di Baghdadi e Jolani si dividevano per questioni per lo più di rivalità interne, e da allora il primo divenne il capo assoluto di un’organizzazione autonoma, l’Isis, che a differenza di quella guidata da Jolani tagliava i ponti del tutto con al-Qaeda.
A quest’ultima Jolani rimase fedele per lunghi anni, durante i quali fu anche incluso nella lista degli Specially Designated Global Terrorists degli Usa, che per lui sono ancora pronti a pagare una taglia da dieci milioni di dollari, prima che il precipitare degli eventi in Siria ne determinasse la temporanea marginalizzazione. Da allora Jolani ha cambiato tante volte uniforme e bandiera, incluso il definitivo distacco con i qaedisti.
La domanda dunque che mi faccio, direttore, è questa: dobbiamo credere alle conversioni sulla via di Damasco? In altre parole, un leader che ha avuto per lungo tempo ruoli apicali nel fronte dei tagliagole islamisti e il cui idolo era il megaterrorista che fece cadere le Torri Gemelle può, nell’arco di un decennio, trasformarsi in statista?
Le giro queste domande sperando che finiscano anche sotto gli occhi del nostro ambasciatore a Damasco, che il governo Meloni ha voluto insediare in sordina quest’estate senza naturalmente immaginare quel che sarebbe successo poi.