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Mire e sfide di Meloni con Trump

Obiettivi e scenari sulla missione di Meloni in America da Trump. Il taccuino di Guiglia

 

Se i dazi sono diventati, per demerito di Donald Trump, la sostituzione della guerra con altri mezzi, i 90 giorni di sospensione delle super-tasse concessi dal presidente degli Stati Uniti ai Paesi da lui considerati nemici economici, cioè al resto del mondo, sono già da tutti utilizzati per elaborare le strategie di difesa e attacco.

Si va dalla Cina, l’obiettivo principale da colpire che subito ha risposto per le rime -Trump e Xi Jinping si cannoneggiano a dazi e contro-dazi, ma sanno bene di dover trattare-, alla posizione ferma, eppur ponderata dell’Unione europea. Che a sua volta ha sospeso per tre mesi il bazooka -così è stato battezzato- delle contromisure da applicare all’America, preparandosi, nel contempo, a rivolgersi ad altri mercati: la nuova via delle Indie.

Si va verso un accordo di libero commercio a tappe tra Bruxelles e Nuova Delhi entro la fine dell’anno. Una scelta presa in precedenza, ma accelerata dall’offensiva trumpiana. Una scelta non irragionevole, posto che l’India con il suo miliardo e quasi mezzo di abitanti non solo è il Paese più popolato del pianeta -e perciò le possibilità di interscambio sono enormi-, ma è anche, a differenza della Cina e della Russia, la democrazia più grande del mondo. Con tutte le sue contraddizioni e non certo di stampo “occidentale”. Ma con la quale per l’Ue arriva la grande opportunità di interloquire anche in campo economico.

Nella globale strategia per il dopo-dazi l’Europa e la Cina, che ora s’appella all’Ue “contro il bullismo americano”, riscoprono che è utile parlarsi. E l’Italia, come sottolinea il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha un’arma di qualità per attenuare l’impatto delle tariffe minacciate: il “made in Italy”.

Dovrà ricordarlo, nell’intento di far valere lo “zero dazi per tutti”, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo incontro alla Casa Bianca con Trump, giovedì prossimo. Il primo con un rappresentate europeo dopo il varo delle imposte sospese.

Anche se la nostra presidente del Consiglio ha chiarito che non andrà in nome dell’Ue, negli ultimi giorni la posizione italiana s’è riavvicinata a quella franco-tedesca, cioè alla necessità di far prevalere l’interesse europeo (che nel nostro caso è pure interesse nazionale), all’amicizia politica e personale tra i conservatori Trump-Meloni. La guerra dei dazi pure questo sta insegnando: che le ideologie contano poco, se e quando ci sono interessi superiori e generali da tutelare. In politica, poi, l’“amicizia” conta ancor meno, come proprio Trump ha dimostrato con la sua indiscriminata sparata fiscale, prendendo a bersaglio persino i suoi storici alleati del Vecchio e incredulo Continente. E fra questi senza alcun distinguo tra nazioni che esportano molto -l’Italia è il secondo Paese dopo la Germania- e Stati dall’irrilevante rapporto commerciale. Tutti uguali agli occhi dell’accecata America.

Ma come se ne esce? Negoziando. L’Italia ha due carte: il made in Italy in mano e l’Europa alle spalle. Ha la certezza che anche sui dazi l’Unione dei 27 fa la forza.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)

www.federicoguiglia.com

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