In origine fu il reddito di cittadinanza. Che “non si tocca” perché “sta contribuendo alla crescita ed è un efficace strumento di lotta alla povertà”. Parola del fondatore del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo? No, parola del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, esponente del Pd dal pedigree impeccabile per gli standard del Nazareno, con un curriculum che si divide tra l’Istituto Gramsci e i palazzi dell’Unione europea.
Da quando lo scorso settembre è nato il governo sostenuto dalla maggioranza M5S-PD, stampa e sondaggisti hanno studiato nel dettaglio il travaso di consensi che sulla carta sarebbero passati dal Movimento al Partito democratico. Un po’ meno attenzione è stata dedicata al travaso di contenuti e idee dal Movimento al Partito democratico. Eppure non c’è soltanto il caso – macroscopico di per sé – del reddito di cittadinanza.
Si prenda ad esempio Rousseau, la piattaforma telematica con cui il primo partito per numero di parlamentari in Italia prende le sue decisioni fondamentali (inclusa quella di formare l’attuale governo). Ci furono tempi, veramente solo pochi mesi fa, in cui gli esponenti del Pd e i giornali a loro vicini non avevano timore di associare Rousseau al “totalitarismo”. Ma già a settembre il capogruppo del Pd al Senato, Marcucci, è sembrato cambiare del tutto idea: “Rispetto i meccanismi decisionali di tutti”, ha detto pubblicamente. E da allora, anche nei giornali simpatizzanti per i dem, le analisi su Rousseau e sui suoi opachi meccanismi di controllo made in Casaleggio e Associati sono scomparsi dalle prime pagine.
Il capitolo “giustizia”, all’inizio del 2020, è stato uno degli episodi più lampanti della “conversione” del Nazareno alle ragioni del Movimento. La difesa di alcuni principi basilari del garantismo è stata confinata ai soli ex Dem di Italia Viva, tacciati dagli attuali Dem di mero tatticismo. Effettivamente il bisogno di visibilità dei renziani non può essere escluso come motivo di quella battaglia ma, ancora una volta, si è guardato al dito e non alla luna, cioè allo spostamento del Pd su posizioni fondamentalmente coincidenti con quelle del ministro della Giustizia grillino Alfonso Bonafede.
E arriviamo infine alla campagna #Milanononsiferma lanciata in tempi di Coronavirus. Sembra passato un secolo, ma solo due settimane fa il sindaco del capoluogo meneghino, Beppe Sala, ha fatto suo lo slogan e il video dell’Unione dei brand della Ristorazione italiana, rilanciandoli il 27 febbraio con comunicati e account social istituzionali. Un invito a non avere paura del virus, ad andare avanti, a non chiudere i battenti e a non fermare le attività economiche e culturali, con tanto di richiesta al ministro Franceschini per riaprire gradualmente i musei (perché “serve positività”). Il tutto mentre la maggior parte degli scienziati chiedeva di andare in direzione opposta, considerato l’inizio dell’epidemia in Italia: gli esperti suggerivano misure di quarantena e distanziamento sociale, auspicando un’uniformità di approccio delle autorità pubbliche.
Le parole di Nicola Zingaretti, segretario del Pd che in televisione lasciava di sasso il virologo Roberto Burioni esercitandosi in uno sfoggio di statistiche rassicuranti sul confronto influenza stagionale vs. Coronavirus, descrivono alla perfezione l’ultima svolta del Pd. Altro che gaffe, infatti, siamo di fronte a una svolta antiscientifica in perfetto stile “No Vax” dei bei tempi grillini che furono. “Bisogna sconfiggere il virus e seguire le indicazioni della scienza, ma ora serve dare un segnale e approvare in fretta provvedimenti per riaccendere l’economia”, ha detto Zingaretti. Ripetiamo: “Ascoltare la scienza, MA…”. Da qui la decisione del segretario del Pd di volare una decina di giorni fa a Milano, per farsi fotografare in mezzo alla folla mentre faceva l’aperitivo, proprio come suggerito da Sala e dai giovani Dem. Perché va bene pure la Scienza, ma la grillizzazione del Pd dev’essere a tutto tondo.