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Draghi

Afghanistan, i migranti e le donne. Cosa fare?

L'articolo di Alessandra Servidori.

La tragedia dell’Afghanistan ha scatenato una corsa alle dichiarazioni dei rappresentanti politici ad offrire, chi più chi meno, la protezione del nostro Paese a donne e bambini terrorizzati dai barbari talebani.

I video delle richieste di aiuto angosciano, si susseguono e il Governo attraverso Draghi sta organizzando una risposta il più possibile concreta e reale, attraverso l’impegno della Unione Europea in particolare di Merkel e la Von der Leyen.

Vedremo se nelle prossime ore si riuscirà a coinvolgere gli Stati credibilmente e attivamente, anche perché ricordiamo con non poca preoccupazione che il 26 agosto prossimo si svolgerà in Italia il famoso G20 delle donne, che deve restituire un impegno concreto sulle iniziative in merito all’empowerment (peraltro discussa a tavolino per mesi), e la questione afghana precipitata che non può che non essere considerata tra le iniziative da sviluppare qui da noi (inutile dire aiutiamole là nel paese invaso) e dunque anche le risorse che si devono mettere in campo.

Già l’Agenzia europea per i diritti fondamentali ci ha fornito un quadro delle sfide che gli stati Ue devono ancora affrontare per evitare che un’intera generazione di giovani donne e bambini resti senza alcuna prospettiva reale d’inclusione. E ben sappiamo che coloro che sono entrate nel territorio dell’Unione, hanno chiesto asilo, hanno intrapreso percorsi di integrazione negli stati membri molto diversi. Molte di loro hanno esperienze traumatiche alle spalle, violenze a cui sono sopravvissute nei paesi di origine e durante il viaggio e necessitano, dunque, di protezione e supporto specifici. Ognuna di loro, inoltre, è portatrice di ambizioni e aspirazioni; di un bagaglio culturale più o meno ampio acquisito prima della partenza o di illusioni che le sono state falsamente promesse; di una diversità che meriterebbe di essere adeguatamente valorizzata.

Ma noi siamo in grado di non accoglierli e metterle in alloggi strapieni e trattati dignitosamente? Secondo alcune stime diffuse dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) la crisi derivante dall’emergenza epidemiologica da Codiv-19, che ha comportato una significativa contrazione occupazionale, peraltro, è destinata ad abbattersi ancora e con maggior vigore su alcuni gruppi di lavoratori particolarmente svantaggiati, tra cui si collocano i migranti, ancor più se donne. E comunque la questione dell’integrazione sociale e del lavoro e la difesa dei minori non è solo questione che riguarda la popolazione immigrata, come ben sappiamo.

I dati di alcuni rapporti non sono per nulla incoraggianti: in linea di massima, la manodopera migrante femminile è più qualificata rispetto a quella maschile ma continua a svolgere mansioni inferiori rispetto al titolo di studio e alle competenze acquisiti. Così è anche per le italiane. Ancora, si conferma la diffusione dell’impiego a tempo parziale ma il part time è, sempre più frequentemente, involontario, ovvero imposto e non frutto di una scelta della lavoratrice. Da ultimo, si rinsalda una relazione patologica tra condizione familiare e condizione occupazionale: vale a dire, ad esempio, che le inattive sono prevalentemente madri, così come le disoccupate, seppur in misura leggermente inferiore.

In sostanza, si realizza un deprecabile fenomeno di “doppia discriminazione”, sicché alla situazione che la lavoratrice vive in quanto migrante si aggiungono, con effetto moltiplicatore, tutte le criticità che accompagnano il lavoro femminile. E anche qui l’assonanza con noi è drammaticamente evidente.

Allora ci chiediamo con forza: attenzione a non illudere né le donne italiane né le donne che fuggono dalle guerre se non abbiamo ben chiaro e concretamente come ci organizziamo. Quali misure per l’integrazione sono state introdotte e dobbiamo metter in campo subito? Cosa sta funzionando e quali sfide rimangono da affrontare, con richiedenti asilo e titolari di uno status di protezione, nonché con istituzioni pubbliche competenti in materia di immigrazione e politiche dell’integrazione e con organizzazioni della società civile.

Tra queste: l’importanza di ridurre la durata della procedura d’asilo e fornire in tempi brevi uno status giuridico certo, limitare la burocrazia necessaria per ottenere il ricongiungimento familiare, fornire un alloggio adeguato, migliorare l’assistenza psicologica e le misure di supporto per chi è stato vittima di violenze e traumi, garantire l’accesso al sistema di istruzione obbligatoria per i minori e favorire percorsi di formazione professionale e di istruzione come strumento primario di integrazione.

Ed è legittimo chiedersi: ma noi siamo in grado? Siamo effettivamente decisi ad affrontare la questione femminile e minorile con una procedura di urgenza per le italiane, i minori e coloro che guardano al nostro paese con una speranza di aiuto concreto? Qui non c’è da aspettare le passerelle dei G20; qui c’è da decidere adesso subito se l’Europa è credibile se noi siamo credibili e non solo il Paese del sole (che splende un po’ meno ma brucia di più).

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