Skip to content

draghi

Metodo Draghi

L'analista Germano Dottori legge "Mario Draghi. L'artefice" di Jana Randow e Alessandro Speciale

Ho appena finito di leggere “Mario Draghi. L’artefice“, di Jana Randow e Alessandro Speciale, che mi è stato di grandissima utilità nel comprendere in che modo l’ex presidente della Bce avrebbe condotto le trattative per la formazione del nuovo Governo e nel farmi immaginare quale sarà lo stile che porterà a Palazzo Chigi.

Gli autori hanno ricostruito gli otto anni di Draghi a Francoforte, evidenziando la portata trasformativa della sua direzione. Sotto Draghi, la Bce ha iniettato 2500 miliardi di euro nelle economie di eurolandia, espandendo fin quasi alla soglia dei 5mila miliardi il proprio bilancio.

La preparazione di questa svolta, maturata in risposta dalla crisi dei debiti sovrani emersa nel 2011 e poi riaffiorata a più riprese, secondo gli autori è avvenuta lentamente, tanto nella mente di Draghi quanto nelle iniziative assunte via via dalla Bce.

E’ stato infatti necessario infrangere diversi tabù e soprattutto vincere la resistenza della Bundesbank tedesca, avversa a qualsiasi genere di sostegno alla finanza pubblica dei paesi più deboli dell’Eurozona già prima dell’arrivo di Jens Weidmann.

A queste difficoltà sono anche attribuite dagli autori alcune incertezze iniziali.

Draghi non ha tuttavia soltanto sostenuto i debiti sovrani più alti ed instabili dell’eurozona per prevenire il collasso dell’intera unione monetaria europea, ma avrebbe anche tentato di stimolare la ripresa economica attuando una politica di bassi tassi d’interesse che ha comportato da un certo momento in avanti la transizione a tassi d’interesse negativi, senza peraltro ottenere risultati decisivi. Una terza innovazione sarebbe stata l’introduzione della cosiddetta Forward Guidance, ovvero il passaggio da una comunicazione statica, puramente descrittiva delle condizioni economiche dell’eurozona e della politica monetaria praticata, all’annuncio di un orientamento da mantenere nei mesi a venire.

Il cambio di stile e di cultura attuato alla Bce da Draghi è passato anche attraverso un severo ridimensionamento del peso dei dirigenti tedeschi nelle divisioni dell’istituto di emissione europeo più critiche ai fini della conduzione della politica monetaria (il rigorista Jurgen Stark sostituito dal belga Peter Praet, ad esempio).

Nel suo duello con la Bundesbank, inoltre, Draghi ha puntato sulla costruzione di un rapporto forte con la Cancelliera Merkel, personalità di più ampie visioni rispetto ai banchieri centrali del proprio paese.

Importanti – e da tener d’occhio – anche le considerazioni riservate alla tecnica di governo di Draghi: emerge infatti dal libro il ritratto di un uomo che ascolta, ma decide da solo, spesso all’improvviso e senza preavvisare nessuno delle proprie intenzioni, come si è visto anche nelle ore che hanno preceduto la nascita del suo governo. Draghi è altresì descritto come un uomo, inoltre, che guarda alle grandi linee e rifiuta il micro-management. Che delega, controllando però di tanto in tanto i risultati. Ed avverso alle estenuanti riunioni notturne, che ha spesso avviato a Francoforte ma poi abbandonato a persone fidate. Tale approccio, traslato all’attuale condizione in cui Draghi si trova a Palazzo Chigi, parrebbe implicare il riconoscimento da parte del Presidente del Consiglio di un’ampia autonomia ai suoi ministri, nell’ambito di missioni però chiaramente prestabilite e sottoposte a verifica. Dove andrà la nostra politica estera, quindi, dovrebbe essere stato chiarito nei giorni scorsi al Senato.

Al rapporto con Giancarlo Giorgetti sono dedicate due annotazioni nel volume: l’attuale Ministro dello Sviluppo Economico sarebbe stato, secondo gli autori, l’unico vettore d’influenza a disposizione di Draghi nel governo giallo-verde. Nelle proprie interlocuzioni con Giorgetti, peraltro, Draghi avrebbe solo comunicato gli stati d’animo prevalenti in Europa nei confronti delle politiche adottate dall’Italia e dati sull’andamento delle economie, senza dare alcun suggerimento di policy.

Rilevante la rete dei rapporti internazionali di Draghi su cui il libro si sofferma: da Janet Yellen, al Ceo e fondatore di Blackrock, Larry Fink; al segretario al Tesoro americano sotto Clinton, Larry Summers; passando per insigni economisti e banchieri centrali del calibro di Ben Bernanke, Mark Carney e Stanley Fisher.

La citazione preferita di Draghi appare di un certo interesse: è una celebre frase di John M. Keynes, “quando i fatti cambiano, io cambio opinione. E lei cosa fa, sir?”.

Difetti del volume? Ne ha qualcuno. E’ stato sicuramente scritto totalmente in inglese e in alcune parti tradotto in modo stilisticamente poco felice. Personalmente, avrei preferito anche un’esposizione cronologicamente più ordinata. Comunque lo raccomando. E raccomando agli autori anche di pensare ad un aggiornamento, un capitolo conclusivo, che traghetti l’artefice da Francoforte a Palazzo Chigi.

(Post tratto dal profilo Facebook di Dottori)

Torna su