Anche l’impiegato ormai pensionato del Comune siciliano che rilasciò nel 2016 la carta d’identità poi usata, con le necessarie contraffazioni, da Matteo Messina Denaro per camuffarsi da Andrea Bonafede ha voluto dare il suo contributo, chiamiamolo così, ad una ricostruzione della cattura del superboss mafioso in chiave minimalista: non come un successo delle forze dell’ordine e della magistratura, o dello Stato in senso generale, e tanto meno del governo di turno, ma come una resa, una consegna dell’interessato camuffata da super-operazione a grandissimo rischio e altrettanto grande successo.
“So bene – ha raccontato quel pensionato di nome Vincenzo e di cognome Pisciotta, che da solo storicamente vale un gioiello – cosa vuol dire avere a che fare con un tumore. Da 50 anni non ho più una gamba. Credo che il boss abbia fatto in modo di farsi trovare, che fosse stanco di lottare con la malattia. Ha deposto le armi”. E avrebbe deciso quindi di lasciarsi curare nei due, o non sa quanti altri anni ancora di vita gli manchino, in una struttura giudiziaria più sicura, e forse anche più efficiente delle cliniche private alle quali doveva rivolgersi da latitante.
Beh, se questa è la rappresentazione preferita dai soliti cultori e praticanti della dietrologia, soddisfatti così di sminuire lo Stato e aumentare la furbizia di chi ne sa approfittare anche da disperato, mi sembra che la cronaca li stia smentendo. Il furbissimo, capacissimo, disinvoltissimo criminale, autore di stragi e delitti singoli di ferocia inaudita, nel “consegnarsi” si è dimenticato di chiudere e svuotare ben bene i suoi covi. Che aumentano col passare dei giorni, man mano che vengono scoperti e perquisiti, con i loro abiti di lusso, i telefonini, gli appunti, le rubriche, i poster e i quadri che glorificano la mafia, non risparmiando grane, a dir poco, a quelli che potranno risultare alla fine complici della sua trentennale latitanza.
Via, siamo seri una volta tanto anche nell’informazione, e direi persino nella fantasia. Questa cattura è stata un’operazione vera, di autentica lotta alla mafia, di un cristallino successo di chiunque possa istituzionalmente vantarsene. E finiamola pure col gioco di affondarla nella melma solita dell’altrettanto solita lotta politica. Quella, per esempio, che ha fatto attaccare nelle vignette del Fatto Quotidiano una volta metà volto di Matteo Messina Denaro all’altra metà di Silvio Berlusconi, presunto protettore, finanziatore, beneficiario della mafia, e poi – oggi – la metà di Berlusconi all’altra metà dell’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio, presunto avversario, demolitore e quant’altro delle intercettazioni. Che, per quanti abusi possano essere compiuti nel disporne e gestirne, debbono rimanere intoccabili, visti gli effetti che possono produrre, pur in una cattura che allo stesso tempo si è cercato e si cerca tuttora di rappresentare come una finzione, non solo cinematografica. Per cortesia, un po’ di decenza, una volta tanto.