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Merkel

Merkel fa la Merkel su Putin

Nel suo ritorno in pubblico dopo sei mesi, Merkel esprime giudizi pesanti su Putin ma non ammette le sue responsabilità in politica estera ed energetica. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino

Sei mesi di silenzio istituzionale, da quando aveva lasciato il governo della Germania al suo successore Olaf Scholz, nei quali è cambiato il mondo. E per questo la prima uscita pubblica di Angela Merkel era attesissima, per quel che avrebbe potuto e dovuto dire sulla guerra in Ucraina e soprattutto sulla sua Ostpolitik e sulla sua politica energetica che ha legato i destini tedeschi alla Russia di Putin e, secondo alcuni, è una delle cause dell’aggressione russa. Ma Merkel ha fatto la Merkel: non ha detto niente. O meglio: ha usato sì parole pesanti per condannare l’attacco militare di Mosca. Parole che, se fosse stata ancora cancelliera, avrebbero avuto un peso importante, ma oggi risuonano come il giudizio di una (sia pur autorevole) veterana. Ma su suoi eventuali errori e sottovalutazioni nel rapporto con Putin non ha ammesso nulla: “Non vedo alcun motivo per dire che è stata una politica sbagliata e dunque non mi giustificherò”. Insomma: non, je ne regrette rien.

Il “rientro” è stato una piece teatrale in vero stile merkeliano. Innanzitutto il podio, la sala del Berliner Ensemble, il teatro sulla rive gauche della Sprea cuore delle rappresentazioni di Bertold Brecht. Poi l’atmosfera: ressa di giornalisti e aficionados, selfie con la sagoma dell’ex cancelliera a formato intero e fiduciosamente sorridente verso l’orizzonte e, dietro il sipario, una lunga processione di lettori in fila per farsi autografare il libricino della serata: tre discorsi di Merkel raccolti sotto il titolo “Allora, qual è il mio paese?”.
Un faccia a faccia con il giornalista dello Spiegel Alexander Osang che è entrato subito nell’argomento principale: la guerra in Ucraina. Da Merkel parole dure verso Putin, di certo non inattese. L’aggressione contro Kiev “un grande errore” e “un’enorme tragedia”, “un atto brutale che non ha la minima giustificazione”.

L’invasione delle truppe russe “un’obiettiva rottura di tutti i regolamenti internazionali”. Ma quando l’intervistatore è passato dalle domande sul giudizio degli eventi attuali a quelle sulla valutazione dei comportamenti passati, l’ex cancelliera ha indossato la corazza del difensore e ha contrattaccato con convinzione e senza mostrare alcun rimorso. Nelle trattative che si sono succedute dopo la crisi del 2014, il suo cuore “ha sempre battuto dalla parte dell’Ucraina”, ha detto Merkel, che non ha speso una parola (né il giornalista ha troppo insistito) sulle sue scelte nella politica energetica, che oggi pongono la Germania in enorme difficoltà rispetto agli eventi bellici in corso. Nessun rimpianto, nessuna autocritica.

Quanto ai rapporti intessuti con Kiev e Mosca nelle varie fasi di trattative, l’ex cancelliera ha insistito sul fatto che tutto deve essere visto alla luce degli eventi attuali: le decisioni prese in passato hanno più volte evitato il peggio. Tanto il rifiuto tedesco di assecondare l’adesione dell’Ucraina alla Nato, quanto l’impegno profuso attraverso vari formati diplomatici per raggiungere gli accordi di Minsk hanno seguito un solo obiettivo: evitare quel disastro che oggi è sotto gli occhi di tutti.

La guerra di oggi non è la conseguenza di politiche specifiche dei governi tedeschi da lei presieduti, sembra dire Merkel, ma del fatto che gli sforzi diplomatici non abbiano avuto successo e siano stati abbandonati: “Ho cercato di lavorare nella direzione di prevenire il disastro, e la diplomazia non è sbagliata se non ha successo”.

D’altronde Putin ha una visione generale che è chiara e che va respinta, ha proseguito Merkel: considera la disintegrazione dell’Unione Sovietica come “l’avvenimento peggiore del Ventesimo secolo” e ritiene sbagliata la democrazia. Ma questo non ha nulla a che fare con la politica estera che lei ha impostato nei 16 anni di cancelleria. È vero – e questa è forse l’unica ammissione che concede – che in tutti questi anni non è stato possibile porre fine alla guerra fredda o creare un’architettura di sicurezza che avrebbe impedito la situazione attuale. Ma alla fine arriva l’autoassoluzione: “A posteriori, quando tiro le somme, sono davvero contenta di non dovermi rimproverare di non aver fatto abbastanza per evitare un evento come quello che si è verificato”.

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