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Meloni versione Atreju

Tesi e parole di Giorgia Meloni ad Atreju. La nota di Sacchi

“Largo, sta uscendo il presidente del Consiglio”, ordina un dirigente della Polizia. Il piccolo corteo di auto con a bordo Giorgia Meloni lascia verso le 14 i giardini di Castel Sant’Angelo, a conclusione della settimana di Atreju. La premier e presidente di FdI sceglie lo stile low profile istituzionale a conclusione della kermesse da lei inventata con il cofondatore di FdI Fabio Rampelli, attuale vicepresidente della Camera, dai tempi di Colle Oppio. Low profile dopo il discorso con cui, da padrona di casa, ha infiammato la platea di una festa che ha visto circa 105.000 visitatori.

I giornalisti vengono seminati, i toni si fanno più morbidi con gli alleati di un partito che ha l’obiettivo evidente di sancire il suo ruolo egemone, anche con una riforma della legge elettorale, con proporzionale e premio di maggioranza e abolizione dei collegi uninominali. Ma se ne avevano parlato altri esponenti di FdI, compreso il presidente del Senato, Ignazio La Russa, la premier esclude il tema dal discorso conclusivo che termina con l’invito all’umiltà unita alla forza della sfida: “Non dimenticare mai da dove siamo partiti”, anche se questo non significa abbandonare il compito “di osare sempre, accendere la nostra scintilla ovunque”.

Meloni esalta l’unità del centrodestra e attacca Elly Schlein, proprio di fronte all’immagine plastica di quell’unità della sua coalizione, con la presenza di Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi, applauditissimi dalla platea. Lancia la stoccata alla segretaria del Pd, unica assente del centrosinistra tra gli ospiti della kermesse: “Il Campo Largo lo abbiamo riunito noi, qui ad Atreju, l’unica che invece non si è presentata è proprio colei che avrebbe dovuto federarlo”. Attacca: “Questo è il luogo dove il valore delle persone si misura sui contenuti e chi scappa dimostra di non avere quei contenuti”. Battuta sui leader delle opposizioni che litigano tra loro: “Si portano sfiga da soli, che manco quando te capita la carta della Pagoda al Mercante in Fiera…”.

La sala stracolma viene giù dagli applausi misti a risate. Una promessa: “Il centrodestra la sintesi la troverà sempre, noi dureremo fino alla fine della legislatura. Io sono soddisfatta dei miei alleati. Le nostre riforme (Premierato, Autonomia differenziata, Roma Capitale, Giustizia per il Sì al referendum contro vergogne come Garlasco) serviranno per tutto il Paese”.

Immigrazione, Meloni rilancia il modello Albania, confermato dalla decisione Ue sui Paesi sicuri, ma attacca chi ha accusato il governo di sprechi, ricordando che la colpa è di “quei giudici che hanno creato un ritardo di un anno e mezzo” per il funzionamento del centro.

Politica estera, Meloni difende Trump sulle sue critiche all’Europa e dice: “Sveglia Europa”, ricordando che per “80 anni ha appaltato la sua sicurezza agli Stati Uniti”, in cambio della sua sovranità. Meloni sottolinea che la pace si può ottenere “solo con la deterrenza”. E rinnova il suo sostegno all’Ucraina, ma ricorda anche l’impegno del governo sul fronte del Medioriente, plasticamente rappresentato anche dalla stessa presenza di Abu Mazen ad Atreju, il leader dell’Autorità nazionale Palestinese, perché Gaza non è solo tema della sinistra: “L’Italia è il Paese non islamico che ha dato il maggior numero di aiuti”. Ammonisce la sinistra a prendere le distanze, piuttosto, da Francesca Albanese, “impegnata più che per Gaza in convegni con i terroristi di Hamas”. Attacca una sinistra accusata di non riconoscere “neppure il premio Unesco per la nostra cucina perché ci siamo noi al governo”.

Al grido “Giorgia, Giorgia”, che viene dalla platea dove è presente anche la madre, signora Anna Paratore, oltre alla sorella Arianna, capo della segreteria di FdI, figura chiave anche dell’organizzazione della kermesse, Meloni saltella. Ma dura un attimo, torna il profilo istituzionale e di partito da padrona di casa che rilancia la solidità dell’unità del centrodestra. Atreju è la festa dove Salvini e Tajani, Lupi di Noi Moderati si sentono a casa. Il leader della Lega, vicepremier, ministro delle Infrastrutture e Trasporti fa un bagno di selfie ed è particolarmente applaudito quando nomina il Cavaliere: “Solidarietà ai giornalisti del gruppo Gedi, sono un giornalista professionista anche io, in aspettativa. Ma ricordo che quando a Silvio Berlusconi spensero le Tv la sinistra era d’accordo, la libertà di parola deve valere per tutti”. Salvini sottolinea la pluralità della coalizione, fatta di “comunità diverse, ma mai mi faranno litigare con Giorgia”. Poi una battuta sul segretario della Cgil, Maurizio Landini, quando ricorda che il 12 dicembre scorso “i treni hanno funzionato meglio del solito, sono stati più puntuali, ben vengano quindi scioperi generali così, che dire?”. Salvini batte il tasto sulla sicurezza e sul fronte Giustizia l'”assurdità” del processo Open Arms, ancora in corso “per aver difeso i confini nazionali”, con la sentenza della Cassazione attesa a giorni.

Tajani, segretario di Forza Italia, vicepremier e ministro degli Esteri, esalta il valore della militanza politica. “Sono qui più da militante che da dirigente, in questi valori ho creduto fin da quando avevo 12 anni e non ho mai cambiato bandiera, non so se è un merito o un difetto in questa Italia, però la coerenza è un merito, io quando la mattina mi guardo allo specchio sono soddisfatto. Poi possono dire tutto quello che vogliono”. Prosegue il segretario azzurro, con voce alta e appassionata: “Ai ragazzi, ai militanti, voglio dire non cambiate mai, mantenete lo stesso spirito, perchè se anche quando avrete i capelli bianchi come me manterrete lo stesso spirito, vi sentirete giovani. Io avrò pure gli anni che ho ma mi sento molto più giovane di tanti altri che hanno cambiato bandiera e hanno smesso di credere a certi valori”. Suona come una oggettiva risposta alla rinnovata richiesta di volti nuovi da parte di Pier Silvio Berlusconi pur dichiarandosi riconoscente con lui. Ma la vera riconoscenza sembra invece tributarla all’elegante “Antonio”, che evita di rispondere ai giornalisti, FdI con la platea dei numerosi militanti di Gioventù Nazionale ad Atreju. In prima fila ad applaudire Tajanj c’è anche un altro storico militante azzurro, Maurizio Gasparri, altro “ragazzo” dai capelli ingrigiti, capogruppo di FI in Senato. Fu bollato come un “berluscones”, proprio perché alla destra della sua gioventù, con Gianfranco Fini, Gasparri preferì in tempi lontani e non sospetti il fondatore di FI e del centrodestra, padre dell’amministratore delegato di Mediaset.

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