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Tutte le fesserie sulle trumpate di Meloni

Troppe fumisterie e narrazioni farlocche nella missione di Meloni da Trump. I Graffi di Damato.

In politica, ma anche nel giornalismo che ne fiancheggia o alimenta gli aspetti peggiori, è paradossalmente più facile perdonare all’avversario un errore che un successo. Se ne sta accorgendo – o ne sta avendo conferma – la premier Giorgia Meloni vedendo il fango sulla sua missione lampo da Donald Trump. Che l’ha accolta e trattenuta per alcune ore nella residenza privata di Mar-a-Lago, in Florida, apprezzandola.

Prima si è cercato di immiserire il viaggio in un sorpasso della Meloni sull’alleato e vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini, espostosi più di lei nella campagna elettorale americana per la vittoria di Trump e smanioso di correre alla cerimonia del giuramento e dell’insediamento cui la premier avrebbe problemi da cerimoniale per partecipare. Una cosa o circostanza risibile che pure ha fatto capolino nelle cronache e nei retroscena, tanto da indurre Salvini a smarcarsi da ogni sospetto apprezzando pubblicamente l’iniziativa della premier.

Si è cercato inoltre di costruire uno sgarbo inferto all’altro vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che sarebbe stato tenuto all’oscuro del viaggio sino ad apprenderne la notizia dal sito elettronico della Stampa, quando già la Meloni era decollata dall’Italia. Ma ancora più grave sarebbe stato lo sgarbo al presidente ancora in carica degli Stati Uniti Joe Biden, nella presunzione di tanta incompetenza e imprudenza della premier, dei suoi collaboratori, ma anche di Trump e relativo staff, da non avere saputo gestire nei modi dovuti, cioè educati, un passaggio della ordinaria, lunga transizione di quasi due mesi fra un presidente e l’altro.

Sempre scambiando la Meloni per una imprudente, è stato messo nel conto della sua missione da Trump la stipula, o quasi, di un miliardario contratto di affari fra l’amico, consigliere, finanziatore, quasi ministro, o qualcosa del genere del presidente americano, Elon Musk, e l’Italia nel campo delle comunicazioni satellitari. Una cosa naturalmente smentita dalla Meloni ma sulla quale le opposizioni hanno già reclamato il solito rapporto e dibattito in Parlamento.

Pur non collegato direttamente al viaggio in Florida e all’incontro con Trump è stata infine buttato tra le gambe della premier un presunto giallo delle dimissioni anticipate dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni dalla direzione dei servizi segreti. Che, per quanto già apparsa in partenza ai suoi collaboratori il 12 dicembre scorso nello scambio degli auguri di fine anno, scadendo il suo mandato a maggio, si sarebbe dimessa il 23 dicembre contro il presunto, mancato coinvolgimento nella vicenda del sequestro della giornalista italiana Cecilia Sala in un carcere iraniano e del modo in cui ottenerne il rilascio. Vicenda che è stata trattata come la più urgente dalla Meloni con Trump perché collegata all’arresto in Italia di un iraniano a rischio di estradizione negli Stati Uniti per storie di droni e di terrorismo.

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