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Cosa non si dice dell’incontro a Parigi tra Meloni, Musk e Trump

Dev’esserci stato un intervento di Musk nell’incontro fra Trump e Meloni a Parigi. I Graffi di Damato.

Dev’esserci stato un intervento per niente sotterraneo o losco dell’amico Elon Musk, pure lui a sorpresa a Parigi alla riapertura della cattedrale riaperta cinque anni dopo l’incendio che la devastò, nell’incontro annunciato fra il presidente americano Donald Trump, non ancora reinsediato alla Casa Bianca, e la premier italiana Giorgia Meloni. Accorsa contro ogni previsione nella Capitale francese, dove era già arrivato per rappresentare l’Italia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accolto con i soliti onori e l’altrettanto solita cordialità dal presidente Emmanuel Macron, con tanto di fotografia familiare sul sagrato della cattedrale tornata agli antichi splendori, ancora più lucenti con i mezzi inimmaginabili ai tempi della sua prima costruzione.

La Meloni continua a dare il meglio di sé, simbolicamente e praticamente, sulla scena internazionale. E lo fa per quanti sforzi compiano i suoi avversari di ingabbiarla e immiserirla nelle vicende interne di una politica interna spiata attraverso il classico buco della serratura, amplificando le divisioni nella maggioranza, irridendo alle “schermaglie” cui la premier le riduce nelle dichiarazioni pubbliche e imbottendo di retroscena prevalentemente immaginari ogni sua scelta o decisione. Compresa la rapida sostituzione nel governo di Raffaele Fitto, promosso alla seconda Commissione europea di Ursula von der Leyen anche come vice presidente, e il collega di partito Tommaso Foti.

Nulla, nella leggenda interna della Meloni, pur quasi a metà ormai del suo primo mandato di presidente del Consiglio, può e deve ritenersi ordinario o normale. Tutto deve avere i suoi misteriosi o inquietanti risvolti, la sua doppia, triplice lettura, per non andare anche oltre. Chissà cos’altro l’aspetta nell’immaginario del pettegolezzo, nella demonizzazione delle sue iniziative e dei suoi progetti negli oltre due anni e mezzo che l’attendono a Palazzo Chigi. Non parlo poi di quelli che potrebbero seguire se l’alternativa perseguita dagli avversari continuerà ad essere quella alla quale essi lavorano, divisi e scomposti, nel campo di dimensioni variabili di cui scriviamo ogni giorno come sull’acqua. Ora si sono aggiunte nel sottofondo musicale dello spettacolo le pernacchie e simili di Beppe Grillo, scippato del suo movimento dal mago di Oz, come lui chiama Giuseppe Conte dopo averlo garantito a 300 mila euro l’anno in veste di comunicatore. Un compito i cui risultati hanno prodotto sinora un improvvisato funerale senza bara e senza fiori, con la semplice esposizione di un lussuoso carro funebre a motore.

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