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Meloni

Meloni ha perso in Europa o punta al contropiede?

Umori, malumori e commenti dei giornali italiani sulle nomine ai vertici delle istituzioni europee e sulla posizione del governo italiano. I Graffi di Damato

Dalla cena delle beffe, come apparve quella del precedente vertice europeo dopo le elezioni dell’8 e 9 giugno, in cui già francesi e tedeschi, o popolari e socialisti per calarsi nei partiti, fecero spallucce ai risultati, si è passati col secondo incontro conviviale alla cena dei paradossi. Dove giornali e forze o aree politiche di riferimento, diciamo così, hanno fornito rappresentazioni opposte dell’astensione di Giorgia Meloni sulla designazione della tedesca e popolare – intesa come appartenenza all’omonimo partito – Ursula von der Leyen a presidente confermata della Commissione europea. E del no invece alla designazione del socialista Antonio Costa alla presidenza del Consiglio e della liberale estone Kaja Kallas ad alto commissario per la politica estera: almeno quella nominalistica, non essendovene di fatto una ma ancora quante sono quelle degli Stati dell’Unione.

C’è chi ha visto, lamentato, denunciato, secondo i casi, nella linea della Meloni una spinta all’isolamento o una incapacità, se non rifiuto, di scegliere – come ha titolato il Riformista o scritto su Repubblica Andrea Bonanni – fra il ruolo di “statista” in quanto presidente del Consiglio “o leader di partito”. Che peraltro in Italia ha un po’ di problemi, diciamo così, con i giovani ripresi, sia pure furtivamente, a inneggiare al fascismo e nazismo procurandosi augurabilmente espulsioni, e non solo dimettendosi come alcuni hanno cominciato ragionevolmente a fare.

Ma sullo stesso versante critico verso la linea della Meloni c’è chi – per esempio, il Fatto Quotidiano del direttore Marco Travaglio e del lettore molto apprezzato Giuseppe Conte – ha liquidato come “finta guerra”, quella della premier italiana, che “si distingue ma non rompe”. E in effetti essa risulta a tutti in trattative, neppure tutte dietro le quinte, a cominciare con la presidente uscente e designata, per la composizione della Commissione, in tempo per guadagnarsi l’appoggio dei deputati conservatori, e meloniani, nel passaggio parlamentare a scrutinio segreto e rischioso sulla sua conferma, verso metà luglio.

C’è anche chi si è spinto oltre nella lettura, nelle previsioni e negli auspici: dall’Europa che “adesso parla in italiano”, secondo L’Identità, alla “lunga vita” augurata dal Foglio “alla maggioranza anti Putin” destinata formarsi nel nuovo Parlamento europeo attorno a Ursula von der Leyen. O “Ursulina”, come l’ha definita con ironia e simpatia Tommaso Cerno sul Tempo che dirige.

Ce n’è insomma per tutti i gusti politici e personali. Basta aspettare con pazienza, per quanto accaldati dall’estate e distratti dai campionati europei di calcio, gli sviluppi delle trattative per la composizione della commissione in cui la Meloni è già impegnata, sostenuta e incoraggiata peraltro dal premier polacco Tusk, dello stesso partito di “Ursulina”, che ha avvertito: “Non c’è Europa senza Italia”.

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