Più Giorgia Meloni, reduce da una serie di successi internazionali, compresa la prova più delicata per l’Italia dei funerali di Papa Francesco, con “il valore enorme” dell’incontro tra Trump e Zelensky, mostra il volto determinato ma tranquillo della sua leadership e più l’esecutivo di centrodestra, con i suoi “accenti” anche diversi ma in una cornice unitaria, mostra solidità, più le opposizioni si radicalizzano negli attacchi dai quali si distingue solo Carlo Calenda. Attacchi portati avanti da un fronte che sembra più una sommatoria di estremismi, senza un perno più moderato che lo guidi, che una reale alternativa al governo di centrodestra.
Una situazione che Meloni fa emergere crudamente nell’intervista di ieri al Corriere della sera. Rispondendo a una domanda della giornalista, Paola Di Caro, su Trump, il premier afferma: “Anche di me si dice che spacco in due l’Italia, e non è vero. E a dirlo, guardi un po’, sono gli stessi le cui valutazioni trovo francamente superficiali e infantili”. A chi e a cosa si riferisce in particolare? “Quando la leader del Pd dice che ‘Trump non può essere un nostro alleato’, cosa intende esattamente? Che rompiamo i rapporti di alleanza di 70 anni e usciamo dalla Nato? Perché capisco gli slogan, ma poi bisogna anche essere conseguenti”. Conclude Meloni: “Io non penso che le nostre alleanze fondamentali con i Paesi partner cambino in base a chi vince le elezioni. Evidentemente la sinistra sì. E in fondo non mi stupisce: per noi l’interesse nazionale viene prima di ogni cosa, per altri prevale l’appartenenza ideologica”.
Critiche dure che mettono in rilievo lo stato delle opposizioni e la loro difficoltà a diventare credibile alternativa. Mentre per quanto riguarda la coalizione e alcune distinzioni tra i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani (verificatesi anche ieri sulla decisione dell’Ungheria di Orban di uscire dalla Corte penale internazionale che vede Salvini d’accordo, Tajani, invece, contrario), Meloni sottolinea che l’unità della coalizione è dimostrata “dai voti”, “poi ciascuno usa accenti diversi, è naturale”.
E, mentre Meloni viene elogiata dalla rivista tedesca Bild come “la leader segreta” dell’Europa, e a Roma incontra il presidente turco Erdogan rafforzando la collaborazione Italia-Turchia dall’immigrazione all’energia e fissando un’interscambio per 40 miliardi di dollari, da Valencia al congresso del Ppe arrivano al premier i complimenti di Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, per la “saggezza” mostrata nei rapporti con gli Usa.
È un congresso dove Forza Italia, che rappresenta il Ppe in Italia guidata da Antonio Tajani, ha avuto un ruolo fondamentale. La mozione presentata dal segretario azzurro mette al centro la necessità della crescita economica e la dura critica alle scelte del green deal ecologico portate avanti dai socialisti.
“Un’Europa più forte, che ha per principale alleato gli Usa”, dice Tajani. E un Ppe più aperto ai Conservatori di Meloni, spiega il portavoce azzurro e vicecapogruppo vicario di FI alla Camera, Raffaele Nevi. Forza Italia con Tajani, dice Nevi, ha avuto un “ruolo importante all’interno del Ppe per definire una linea diversa sul futuro produttivo del continente europeo, la difesa, la sostenibilità ambientale, le infrastrutture, l’energia, il nucleare. È frutto di un lungo lavoro fatto da Tajani anche nel passaggio significativo dell’apertura ai conservatori, altro punto importante su cui siamo stati protagonisti”. E questo non potrà che aver un effetto positivo anche sulla coesione della stessa maggioranza di governo.