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Meloni difende i suoi. Soprattutto Mantovano

Come e perché Meloni ha reagito all'autorizzazione a procedere per Piantedosi, Nordio e Mantovano. Il commento di Battista Falconi

Ha dato una risposta in tono fortissimo, Giorgia Meloni, dopo aver saputo che la sua posizione sul caso Almasri è stata archiviata, mentre è stata richiesta l’autorizzazione a procedere per i ministri Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e per il sottosegretario Alfredo Mantovano. La scelta di diffonderla via social ne ha accentuato il carattere politico, la risposta non è infatti passata per una nota di Palazzo Chigi, ancorché la vicenda riguardi l’esecutivo. Il testo ha aggiunto, a una critica di metodo molto dura, quella di merito: «Oggi mi è stato notificato il provvedimento dal Tribunale dei ministri, dopo oltre sei mesi dal suo avvio, rispetto ai tre mesi previsti dalla legge, e dopo ingiustificabili fughe di notizie […] Assurdo che vadano a giudizio loro e non io».

La difesa dei titolari dell’Interno e della Giustizia da parte della premier rientra in quella difesa dell’autonomia e indipendenza del potere esecutivo e in generale delle cariche elettive, rispetto alle valutazioni di un qualsivoglia Tribunale, che ispira tutta la riforma della Giustizia e che potrebbe portare già il prossimo anno a un redde rationem referendario dall’esito non scontato. Un’eventuale “sconfitta” della maggioranza in tale contingenza, però, potrebbe non avere conseguenze catastrofiche come accaduto in passato ma, anzi, confermare la necessità di un adeguamento dei rapporti istituzionali, che permetta a chi viene delegato a decidere dai cittadini di farlo senza stare perennemente sotto schiaffo di una sentenza o addirittura di una semplice indagine.

In tal senso converge la seconda motivazione della risposta di Meloni, cioè la solidarietà ai propri collaboratori, quasi scontata considerando il carattere della persona oltre che il suo atteggiamento politico. Un principio già stabilito per Matteo Salvini e ora confermato, anche se possiamo stabilire una diversa sfumatura nei confronti di Nordio, ministro che alla sua presidente qualche problema di comunicazione e di sostanza lo ha creato, di Piantedosi, che gestisce la difficile partita migratoria ed è anche ipotizzato come candidato del centrodestra per la Campania, e soprattutto di Mantovano. Il sottosegretario è considerato molto capace e un po’ ostinato, nei casi del mancato arresto del generale libico e dei centri albanesi la sua indisponibilità a cambiare idea potrebbe aver complicato la gestione, ma resta l’uomo chiave rispetto allo scontro giustizia-politica e rispetto ai rapporti istituzionali con il Quirinale e con il Vaticano.

Lo si è visto durante il recente Giubileo dei giovani, operazione di successo straordinario, considerati le criticità che l’Anno santo trascinava sin dalla malattia e morte di Papa Bergoglio e il calo di partecipazione, fede e frequenza religiosa dei cattolici, trasversale a età, genere e condizione sociale. L’operazione Tor Vergata è andata bene come numeri, come organizzazione e logistica e come messaggi religiosi diffusi. Mantovano ne è stato il garante principale, ribadendo il modello della collaborazione istituzionale senza distinzioni di partito e ideologia. Quello che viene definito “modello Caivano”. E che è il passaporto per traslocare l’attuale governo di centrodestra in una possibile futura e più ampia coalizione, con esiti istituzionali sui quali si sta scatenando la fantasia dei commentatori.

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